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19 Gennaio 2016 - 11:53
Erri De Luca
Le frasi di Erri De Luca non erano "idonee a istigare attualmente e concretamente" qualcuno a commettere reati contro il Tav. Anche perché non risulta da nessuna parte che lo scrittore goda di un seguito particolare tra le frange più estreme del movimento che combatte la nuova ferrovia in Valle di Susa. Questo dice la sentenza, depositata oggi, con cui Immacolata Iadeluca, giudice del tribunale di Torino, lo scorso 19 ottobre aveva emesso la sentenza di assoluzione.
De Luca era stato imputato perché in un paio di interviste, nel settembre del 2013, affermò che "sabotare" il Tav era cosa "giusta". Istigazione a delinquere, secondo la procura di Torino e secondo Telt, la società che sta realizzando l'opera. Libertà di pensiero, secondo la difesa (avvocati Gian Luca Vitale e Alessandra Ballerini). Il diritto a pronunciare "la parola contraria", per citare il titolo del pamphlet dato alle stampe da De Luca alla vigilia del processo. I pm, Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, avevano chiesto otto mesi di reclusione.
Nelle quattordici pagine della sentenza non si trovano considerazioni di ampio respiro sulla libertà di espressione. Il giudice ha cercato di capire se le dichiarazioni di De Luca, le sue opinioni sulla "inutilità" del Tav e soprattutto la sua interpretazione del concetto di "sabotaggio" fossero in grado di aizzare, istigare, convincere la gente a compiere attentati o atti vandalici. E ha concluso per il "no".
De Luca fu intervistato da due testate generaliste (ANSA e Huffington Post). Se avesse parlato a qualche giornale della Valle di Susa, o a qualche foglio anarchico clandestino, il suo discorso avrebbe avuto un altro peso. E non si può nemmeno dire - scrive il giudice - che nel 2013 ci fosse, nel mondo No Tav, maggiore "fermento" rispetto ad altri periodi storici. Il "contesto", insomma, "non era predisposto a un messaggio istigatorio specifico". Diverso invece il caso dell'ex militante leghista condannata in Cassazione nel 2015 per avere scritto su Facebook, riferendosi al ministro Cecile Kyenge, "mai nessuno che se la stupri": il "contesto" era "l'acceso dibattito" relativo a una violenza sessuale compiuta da un africano su una donna italiana. Diverso anche il caso del consigliere comunale che invitò i cittadini a occupare un'area destinata a un campo nomadi: a quell'appello era seguita una manifestazione degenerata in un incendio.
Le battaglie dei No Tav continuano a generare inchieste giudiziarie. La procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio di due simpatizzanti (un piemontese e un anarchico romano) per un episodio avvenuto durante i violenti scontri del 3 luglio 2011 in Valsusa: il sequestro di un carabiniere, che venne circondato da una quindicina di dimostranti, malmenato, privato della pistola e trascinato nei boschi. Per choc e le lesioni al militare fu riconosciuta una prognosi di 408 giorni.
Poi lasciò il servizio.
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