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I 5 ragni più velenosi in Italia

Dalla paura ancestrale ai predatori senza veleno: svelati i segreti del ragno che paralizza con il vomito e come affrontare l'aracnofobia con nuove terapie

Aracnofobia e natura sorprendente

Aracnofobia e natura sorprendente

La paura dei ragni – l’aracnofobia – riguarda tra il 3% e il 6% della popolazione mondiale, con una prevalenza significativamente più alta tra le donne, che ne soffrono in misura doppia o persino quadrupla rispetto agli uomini. Questo timore, antico quanto l’uomo, è radicato profondamente nel nostro sistema nervoso: l’amigdala, centro delle emozioni e della memoria primitiva, reagisce istintivamente alla vista di un ragno, attivando una risposta di fuga o difesa prima ancora che il cervello razionale abbia il tempo di elaborare.

Secondo alcuni studiosi, come il biologo Tim Flannery, questa paura avrebbe un’origine evolutiva, legata a un antico incontro con specie realmente pericolose come il ragno della sabbia africano. Ma la dimensione culturale non è da meno: nel XVIII secolo il ragno era simbolo di ingegno e creatività, mentre nei racconti gotici dell’Ottocento è diventato emblema di minacce oscure, distorsioni razziali e leggende medievali che lo associavano a malattie e pestilenze. Persino Freud attribuì al ragno un ruolo simbolico legato all’inconscio, al materno e alla paura della perdita di controllo.

Eppure, l’aracnofobia può essere affrontata. Oggi esistono trattamenti psicologici che combinano l’esposizione graduale con la terapia cognitivo-comportamentale, l’uso della realtà virtuale e persino farmaci sperimentali in grado di “resettare” le memorie di paura. Celebre è il caso della scrittrice Jenny Diski, che raccontò di aver superato la propria fobia dopo un percorso lento ma efficace. Un cambiamento possibile, anche per chi crede di non farcela.

E proprio quando pensiamo di sapere tutto su questi animali tanto temuti quanto fraintesi, la natura ci sorprende. Uloborus plumipes, ad esempio, è un piccolo ragno diffuso nelle serre e nei vivai italiani. Apparentemente innocuo, è privo delle ghiandole velenifere tipiche dei suoi simili. Ma recenti studi coordinati dall’Università di Losanna e pubblicati su BMC Biology hanno dimostrato che possiede un’arma letale e invisibile: vomita tossine digestive direttamente sulle sue prede.

La scoperta parte da un’osservazione vecchia di quasi un secolo: un disegno del 1931 mostrava il ragno rilasciare un liquido sulla tela. Da lì è cominciato un percorso di ricerca che ha portato a osservare l’assenza di strutture velenifere nella testa del ragno e, al contempo, una straordinaria attività genetica nell’intestino. Le analisi hanno rivelato la presenza di peptidi neurotossici, metalloproteasi, serinoproteasi e difensine, tutte sostanze capaci di paralizzare e iniziare la digestione della preda dall’esterno. Nei test di laboratorio, una sola dose di questo fluido ha ucciso il 50% dei moscerini della frutta in meno di un’ora.

Il metodo di caccia è raffinato: l’Uloborus plumipes costruisce fitte trappole di seta, avvolge la vittima e poi la inonda con il suo “vomito tossico”. Nessun morso, nessuna iniezione: solo seta e enzimi. Un’efficienza perfetta, che suggerisce una diversa linea evolutiva rispetto ai ragni velenosi tradizionali. I ricercatori ipotizzano che siano i muscoli presenti nella testa a controllare il rilascio di questo fluido, rendendo il sistema ancora più preciso e adattabile. Vale la pena ricordare che i ragni, sebbene a volte inquietanti, svolgono un ruolo cruciale nell’ecosistema: ci difendono da insetti nocivi, regolano gli equilibri naturali e – in casi come questo – ci offrono persino spunti per nuove terapie.

In Italia, tra le oltre 1.600 specie di ragni, solo quattro sono realmente pericolose per l’uomo: Il Ragno Violino (Loxosceles rufescens), il più pericoloso, causa lesioni necrotizzanti nei casi più gravi. La sua puntura è rara ma può portare a complicazioni importanti. La Vedova Nera Mediterranea (Latrodectus tredecimguttatus), diffusa nel Sud e in Sardegna, ha un veleno neurotossico che provoca crampi, nausea e nei casi estremi shock sistemico. La Segestria florentina, nera e lucida, è tra le più grandi d’Europa. Il suo morso è doloroso ma generalmente innocuo. Il Ragno dal sacco giallo (Cheiracanthium punctorium), nascosto nella vegetazione, ha un veleno moderato: provoca dolore, bruciore, gonfiore e nausea, ma raramente complicazioni.

In caso di morso, è fondamentale disinfettare la zona, applicare ghiaccio, assumere antidolorifici o antistaminici e, se i sintomi peggiorano, rivolgersi a un medico o al centro antiveleni.

Alla fine, tra paura e meraviglia, i ragni continuano a vivere nei nostri angoli, reali o mentali. Imparare a conoscerli è forse il primo passo per non averne più timore. Perché in fondo, anche dietro le otto zampe più temute, può nascondersi una lezione di evoluzione, intelligenza e adattamento.

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