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IVREA. La nascita del Personal computer: una storia canavesana

IVREA. La nascita del Personal computer: una storia canavesana

La Programma 101

Nell’accezione attuale, il termine “computer” indica una classe di elaboratori, dai tradizionali dispositivi da tavolo fino ai server aziendali dalla grande capacità di immagazzinamento dei dati. Ma, fino a non molto tempo fa, il termine computer indicava esclusivamente sistemi di elaborazione di grosse dimensioni, mentre i dispositivi da tavolo rientravano nel novero dei “desktop computer”.  La storia dell’informatica ci insegna che la prima macchina completamente programmabile si chiamava Z3, nacque nel 1941 ad opera di Konrad Zuse e di essa si hanno poche notizie, in quanto venne distrutta in un bombardamento di Berlino ad opera dell’esercito alleato. Il primo computer elettronico della storia è invece l’ENIAC, presentato ufficialmente nel 1946 e progettato presso l’Università della Pennsylvania. Le dimensioni del computer coprivano l’area di una stanza di 9 metri per 30 ed era costituito di pannelli che ne ricoprivano tre delle quattro pareti. Pesava 30 tonnellate, era costituito da 18.000 valvole termoioniche, collegate fra loro da 500.000 contatti a saldatura manuale. Non propriamente un “desktop computer”, quindi. I progressi in campo tecnico portarono a dispositivi sempre meno ingombranti. L’avvento dell’elettronica del transistor, in seguito l’utilizzo dei circuiti integrati permisero una sensibile riduzione delle dimensioni esterne dei dispositivi di elaborazione.

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A quando si può far risalire la nascita del primo computer “da tavolo”?

Nacque ad Ivrea, in Canavese, nel 1965. Il nome del suo inventore è Pier Giorgio Perotto. Il prodotto, marchiato Olivetti, si chiamava Programma 101. Perotto, torinese di nascita, classe 1930, entrò in contatto con il mondo olivettiano nell’aprile del 1957. Proveniente dagli ambienti Fiat, entrò nel Laboratorio di Ricerche Elettroniche (LRE) di Barbaricina, in provincia di Pisa: “Era un giorno di aprile del 1957. Con la mia 600, che era quanto mi era rimasto dei due anni passati alla Fiat, stavo andando da Torino a Pisa, dove l’Olivetti aveva aperto un laboratorio di ricerche avanzate nel campo dell’elettronica. Quando ero in Fiat di questo laboratorio si parlava come di una cosa mitica. D’altra parte in quegli anni tutto quanto riguardava l’Olivetti era mitico e avvolto da un alone di superiorità e di mistero”.1

Il Laboratorio di Ricerche elettroniche era una creatura di Adriano Olivetti, eporediese classe 1901, di geniale intuito, lungimiranza e capacità di innovazione: per primo, infatti, riuscì a prevedere che i prodotti elettronici avrebbero potuto affiancare e, in seguito, sostituire i prodotti meccanici. In quegli anni la società mirava ad una espansione, anche sui mercati esteri, tanto da portare a termine, qualche anno dopo, l’acquisizione del colosso americano della produzione di macchine da scrivere, la Underwood, marchio oggi legato alla produzione di registratori di cassa. La sfida, lanciato con la costituzione del LRE, era di creare un laboratorio di ricerca avanzata al fine di progettare e produrre computer, cogliendo un suggerimento lanciato addirittura da Enrico Fermi, durante la sua visita agli stabilimenti Olivetti nel settembre del 1949. A quei tempi l’elaborazione di grosse moli di dati poteva essere fatta in due modi: o affidandosi ad una calcolatrice elettromeccanica (il mercato era dominato dalla Divisumma 24, straordinario prodotto uscito dalle officine di Ivrea ed ideato dal genio di Natale Capellaro), di costo non elevato e che richiedeva personale non particolarmente addestrato, oppure utilizzare i costosi elaboratori dei centri di calcolo, gestiti solo da tecnici specializzati. C’era quindi un forte divario tra le due categorie di prodotti, in termini di prestazioni, di modo di uso e di costi. L’idea di Adriano Olivetti fu di contribuire alla costruzione di un calcolatore elettronico italiano, ma anche cercare di creare un prodotto che avesse collocazione proprio nella fascia intermedia di mercato. La maturazione del progetto condusse il gruppo in capo al LRE a confluire, nel 1962, nella Divisione Elettronica Olivetti (DEO), un gruppo di ricerca industriale con sede commerciale a Milano, laboratori di ricerca a Pregnana Milanese e stabilimento di produzione a Caluso.

Due lutti minarono il progetto. Il 27 febbraio 1960, a 59 anni, morì Adriano Olivetti, in treno mentre si recava in Svizzera. Il 9 novembre 1961, in un incidente d’auto sull’autostrada Torino Milano, morì Mario Tchou, brillante ingegnere a cui Adriano aveva affidato il coordinamento del progetto. La scomparsa di Adriano Olivetti creò una situazione di sbandamento. La mancanza di sostegni da parte dei governi all’allora nascente industria elettronica (come avveniva negli Stati Uniti, ma anche in Francia, Germania ed Inghilterra), la diffusa difficoltà finanziaria in cui la Olivetti venne a trovarsi, anche a causa dell’indebitamento creatosi per l’acquisizione di Underwood, il crollo in borsa, il disorientamento degli eredi impreparati ad accollarsi il gravoso impegno favorirono l’ingresso in società del cosiddetto “gruppo di intervento”, costituito da Mediobanca, Fiat, IMI, Centrale e Pirelli con l’acquisizione del 35 per cento del capitale sociale e la nomina a presidente di Bruno Visentini, proveniente dall’IRI. Il nuovo assetto portò ad una riduzione degli investimenti nel comparto dell’elettronica, con la finalità di concentrare ogni sforzo sulla produzione dei sistemi meccanici. La DEO venne ceduta agli americani della Digital Electric. Illuminante a tal proposito l’affermazione che Vittorio Valletta, presidente Fiat, fece all’assemblea degli azionisti del 30 aprile del 1964: “La società di Ivrea è strutturalmente solida, potrà superare senza grosse difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare”.2

In questa situazione di completo sfascio, Pier Giorgio Perotto fu uno dei pochi a non seguire il destino della DEO. Scelse infatti di rimanere in Olivetti, o forse vi fu costretto: “Questo senso di superiorità e anche di arroganza che caratterizzava il clima delle trattative […] mi spinse, perso per perso, ad assumere un atteggiamento di bellicosa opposizione all’accordo, a tutti i tavoli ai quali ebbi la ventura di essere chiamato. […] La conclusione fu che gli americani fecero sapere, neppure tanto discretamente, a Roberto Olivetti che non sarebbero stati scontenti se l’ingegner Perotto, pur facendo parte del laboratorio elettronico di Pregnana che veniva loro ceduto, se ne fosse rimasto con la Olivetti. E così puntualmente avvenne.”1

Perotto si ritrovò quindi con pochi collaboratori, ma con un’idea già ben chiara nella mente: “il sogno di una macchina nella quale non venisse solamente privilegiata la velocità o la potenza, ma piuttosto l’autonomia funzionale, che fosse in grado non solo di compiere calcoli complessi, quanto di gestire in modo automatico l’intero procedimento di elaborazione, però sotto il controllo diretto dell’uomo. Ma l’idea non era tanto di immaginare un automatismo totale, quanto una macchina amichevole alla quale delegare quelle operazioni che l’uomo fa male o che sono fonte di fatica mentale e di errori, come l’introduzione e l’estrazione dei dati e la ripetizione di procedure di calcolo. Sognavo una macchina che sapesse imparare e poi eseguire docilmente, che consentisse di immagazzinare istruzioni e dati, ma nella quale le istruzioni fossero semplici ed intuitive, il cui uso fosse alla portata di tutti e non solo di pochi specialisti. Perché questo fosse realizzabile, essa doveva sopratutto costare poco e non essere di dimensioni diverse dagli altri prodotti per l’ufficio, ai quali la gente si era da tempo abituata.”1

Nella sua mente era nato l’archetipo del personal computer. L’idea fu favorita anche dalla diffusione su larga scala del transistor, piccolo componente elettronico, nato negli anni ’40 dai laboratori Bell, che, a partire dalla fine degli anni ’50 venne commercializzato su larga scala a bassi costi. L’introduzione del transistor, a scapito delle valvole termoioniche, diede inizio alla costruzione dei cosiddetti calcolatori di seconda generazione. Così, alla fine del 1964, Perotto e due suoi collaboratori, dimenticati dalla struttura aziendale Olivetti, completarono il prototipo di una macchina straordinaria, battezzata con il nome provvisorio di “La Perottina”. Il dispositivo fu costruito utilizzando tecniche innovative per il periodo: possedeva 10 registri di memoria, era programmabile tramite un semplice linguaggio di programmazione basato su sole 16 istruzioni elementari di significato intuitivo (l’archetipo del Basic), aveva la possibilità di leggere e scrivere dati su di una scheda di cartone dotata di una striscia di materiale magnetico (l’archetipo del floppy disk). Per la progettazione della tastiera e della stampante (che era incorporata) venne interpellato Franco Bretti, dello stabilimento di Caluso. Per l’assemblaggio e l’organizzazione strutturale delle varie parti venne richiesto il supporto di Natale Capellaro e la consulenza dell’ingegner Edoardo Ecclesia. I meccanici degli stabilimenti di Ivrea costruirono la carrozzeria. Era nato il primo personal computer della storia. La Perottina pesava circa 30 chilogrammi e le sue dimensioni erano paragonabili a quelle di una normale macchina da scrivere. Il package della nuova macchina fu affidato ad un giovane architetto milanese, Mario Bellini, che propose una soluzione funzionale ed all’avanguardia (la Perottina da lui disegnata trova posto nella collezione permanente ospitata al Museum of Modern Arts di New York). Nonostante il tiepido riscontro dei quadri dirigenziali, bisognava studiarne un lancio commerciale in grande stile. L’idea di Elserino Piol, responsabile della pianificazione dei prodotti aziendali, fu di tentare la strada americana. L’occasione fu il BEMA Show, la grande esposizione di prodotti per ufficio, che si teneva a New York nel mese di ottobre dell’anno 1965. Iniziò quindi la produzione di dieci esemplari; a corredo, si implementarono una serie di programmi dimostrativi che mettessero in evidenza tutte le potenzialità di calcolo della Perottina in diversi settori di applicazione. Il lancio ufficiale avvenne alcuni giorni prima del BEMA Show, nel corso di un’affollata conferenza stampa organizzata presso la sala congressi di un hotel in Park Avenue a New York, alla presenza di centinaia di invitati tra giornalisti e addetti al settore. Anche il riscontro della carta stampata fu entusiastico. Non mancava che il nome. “La Perottina” venne battezzata “Programma 101”. Il successo esplose come una bomba: “La fiera era immensa, ad essa partecipavano tutti i principali costruttori mondiali, sia di grandi calcolatori elettronici, IBM in testa, sia di macchine per ufficio. La Olivetti aveva fatto le cose in pompa magna, con uno stand di forma semicircolare, come un grande palcoscenico nel quale erano stati posti, su delle piattaforme, i nuovi prodotti di bandiera meccanici, le calcolatrici Logos 27. Intorno vi erano nuovi modelli di macchine per scrivere, addizionatrici, fatturatrici, contabili, in gran parte dotate di nuove carrozzerie frutto di un generalizzato rinnovo dello stile, con una classe all’altezza della tradizione di eccellenza della società. In una saletta riservata, sulla parete di fondo dello stand, era collocata una Perottina”. […] “Non appena il pubblico si accorse della Programma 101 e si rese conto delle sue prestazioni, cominciò ad affollarsi nella saletta, desideroso di mettere le mani sulla tastiera, di avere informazioni su quando il prodotto sarebbe stato disponibile, sul suo prezzo. In un primo tempo le reazioni furono quasi di diffidenza: alcuni chiesero se per caso la macchina non fosse azionata da qualche grosso calcolatore nascosto dietro la parete! Poi la diffidenza si mutò in stupore, infine in entusiasmo. […] Pochissima attenzione venne riservata a tutte le altre macchine dello stand. La situazione si complicò ancora nei giorni successivi, quando il personale dovette organizzare un specie di servizio d’ordine per regolare l’eccezionale afflusso dei visitatori alla saletta.”1

La Programma 101 raccolse successi in altre fiere mercato, come a Mosca nel dicembre del 1965 ed alla Fiera campionaria di Milano dell’anno successivo. L’Olivetti decise quindi di iniziarne la produzione su larga scala: fu scelto lo stabilimento di San Bernardo d’Ivrea, dove venivano prodotti i dispositivi più complessi, come le macchine contabili. In azienda, però, la competenza elettronica era ridotta al minimo. La cessione della Divisione Elettronica Olivetti non permise di dare avvio ad un progetto commerciale basato sull’elettronica. Inoltre, non c’era la convinzione che un prodotto elettronico di quella tipologia, in un settore di mercato in cui era totalmente assente la concorrenza, potesse sfondare.

La Programma 101 fu prodotta in 44.000 esemplari. La Perottina venne proposta ad un costo di 3200 dollari in America e a 2 milioni di lire in Italia. Il canale televisivo statunitense NBC ne acquistò cinque, al fine di computare i dati dei risultati elettorali. Altro buon acquirente fu la NASA, che ne acquistò un intero lotto. Il successo della Programma 101 iniziò però a risvegliare la concorrenza. L’IBM manteneva alta l’attenzione, cercando di carpire i segreti della Programma 101. La Hewlett Packard nel 1967, si spinse addirittura troppo in avanti nello studio, tanto che, per la produzione del dispositivo HP9100, copiò di sana pianta il dispositivo di lettura e scrittura costituito dalle schede in cartoncino con banda magnetica. A causa di questa violazione di brevetto, la Hewlett Packard pagò un conto salatissimo: una royalty di 900.000 dollari a favore di Olivetti. Quanto guadagnò Perotto di tutto questo? Un dollaro. “Il brevetto venne quindi presentato a nome mio e di De Sandre e l’ufficio brevetti dell’Olivetti ci fece presente che dovevamo contestualmente firmare una dichiarazione di cessione alla ditta di tutti i diritti, con una formula di rito, che recitava: “Cedo alla Olivetti, per un dollaro e per altri ragguardevoli motivi, tutti i diritti conseguenti alla invenzione descritta nella domanda di brevetto numero 3.495.222, depositata il primo marzo 1965, a nome di P.G. Perotto e altri, dal titolo: Program controlled electronic computer”. Mai un dollaro fu meglio speso da una società!”1

Ma ormai, la volata alle multinazionali dell’elettronica statunitense era tirata. L’occasione d’oro, capitata in mani Olivetti, di diventare leader incontrastato del mercato dell’elettronica, era svanita. Il merito della Programma 101 fu comunque quello di risvegliare gli interessi dei vertici aziendali e permettere la completa riorganizzazione del comparto elettronico, con la creazione del Gruppo Ricerca e Sviluppo, che ha portato ai successi di vendita e di pubblico dei prodotti informatici negli anni a seguire. Pier Giorgio Perotto, dopo altre esperienze lavorative, come direttore generale del Gruppo Ricerca e Sviluppo, in seguito in ELEA e in Finsa, è mancato nel 2002. La sua opera è riassunta in una macchina straordinaria: la Programma 101, il primo personal computer. Nato ad Ivrea.

1 Perotto P.G., “Programma 101. L’invenzione del personal computer: una storia affascinante mai raccontata”. Sperling & Kupfer editori, 1995.

2 Soria L., “Informatica: un’occasione perduta”. Einaudi editore, 1979.

“Per le immagini, si ringrazia il Laboratorio Museo Tecnologicamente - Fondazione Natale Capellaro di Ivrea”.

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