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05 Luglio 2017 - 15:36
Sindaco di Ivrea
Buongiorno.
In riferimento alla vicenda che riguarda i due giovani che hanno perso il lavoro dopo una decina d’anni passati da catalogatori/classificatori presso la biblioteca civica di Ivrea (in quanto la nuova cooperativa non li ha riassorbiti), segnalo che ho scritto anche io una lettera aperta al Sindaco in veste non tanto di madre di uno dei due ragazzi, ma di cittadina che pone alcune questioni di scelte politiche fondamentali per dare un poco di dignità e sicurezza a quelli che oggi sono definiti lavoratori atipici, cioè precari e poveri. Speriamo si possa aprire un confronto serio e trasparente. Grazie.
LETTERA APERTA AL SINDACO DELLA CITTA’ DI IVREA
Egregio Signor Sindaco,
premetto che sono la mamma di uno dei due ragazzi oggi disoccupati, dopo avere lavorato circa una decina d’anni presso la Biblioteca Civica di Ivrea per il servizio di catalogazione bibliografica.
Anche io voglio scrivere una lettera aperta per alimentare un confronto serio e trasparente, perché non mi convincono le blande risposte istituzionali date (al momento attraverso un giornale locale) ai due giovani.
Non agisco per motivi personali: è cosa intima e lacerante il dolore che si prova nel vedere i propri figli espulsi/esclusi dal mondo del lavoro, senza possibilità di acquisire competenze durature, fare carriera, formarsi una famiglia, vivere in modo autonomo con dignità e serenità. Sono convinta che questi sentimenti sono comunque condivisi da molti genitori che sperimentano la mia stessa situazione, specchio di una precarietà dilagante che condanna in un limbo senza fine i giovani e i meno giovani disoccupati/inoccupati.
Scrivo invece come cittadina per dire al Sindaco di Ivrea e ai suoi Assessori che chiudono nel peggiore dei modi il loro mandato di governo della nostra città. La vicenda in questione poteva essere veramente un’occasione per una presa di posizione in un’ottica “di sinistra”, per dire basta a una flessibilità che in Italia è mera precarietà, che crea lavoratori atipici, poveri, senza diritti. Si poteva dare un segno concreto di cambiamento, infondere un po’ di fiducia nella politica, perché sono i politici che indicano gli obiettivi ultimi, fanno le scelte strategiche, rappresentano la testa della burocrazia; i tecnici eseguono.
Siamo tutti convinti che l’Amministrazione ha agito in termini legali, ci mancherebbe! Ma il punto è che se l’impiego della clausola di salvaguardia del personale non è obbligatoria, neppure è proibito utilizzarla, anzi! Forse è uno dei pochi modi per dare un minimo di dignità e rendere giustizia ai “salariati della precarietà”, come diceva Gallino.
Invece si è agito seguendo l’approccio neoliberista imperante. Procedere con la massima efficienza, cioè raggiungere l’obiettivo con il minor impiego di risorse: questo è stato l’imperativo della dirigente (“numerista” e non “umanista”, tanto per usare una più recente terminologia) che ha firmato la determina, senza preoccuparsi del destino di chi perdeva il lavoro.
Trovo poi veramente scandaloso e meschino che un Assessore dica che i lavoratori delle cooperative in fondo non sono dipendenti comunali, per esserlo dovrebbero partecipare e vincere un concorso! Ma il Comune di Ivrea non ha mai fatto un concorso per il servizio di catalogazione bibliografica (e forse neppure per altre posizioni lavorative), ha preferito ricorrere alla pratica dell’esternalizzazione, con le note conseguenze.
Sono veramente tanti i nodi critici. Non mi pare coerente utilizzare, da parte di soggetti istituzionali, nelle manifestazioni pubbliche parole importanti come giustizia, libertà, equità, e poi in una vicenda come questa comportarsi in modo così superficiale e ipocrita. Con tanta amarezza e delusione, chiudo le mie riflessioni e saluto
Daniela Teagno
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