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Favria
19 Luglio 2023 - 12:53
Le patate.
La scoperta delle Americhe, si sa, fu un evento di portata incalcolabile per gli europei e non solo per ragioni di carattere politico, economico e culturale. A seguito dell’arrivo da Oltreoceano di prodotti fino a quel momento sconosciuti, anche l’alimentazione e la dieta degli abitanti del vecchio Continente cambiarono, anche se non immediatamente e, almeno all’inizio, non ovunque né in modo radicale. Nel 1493, al ritorno dal primo viaggio, Cristoforo Colombo riportò con sé in Spagna alcune pannocchie di mais. Seguirono nei decenni successivi le patate, i fagioli, i peperoni, i pomodori, le zucche e il cacao. Ma non tutti questi alimenti entrarono immediatamente nell’alimentazione europea.
Molti furono anzi accolti con freddezza perché non si sapeva come consumarli e di conseguenza si preferì impiegarli come mangime per gli animali, destinandoli solo in un secondo momento al consumo umano. Emblematico il caso delle patate, che faticarono a entrare in pianta stabile nella dieta. Non solo ci volle un po’ a comprendere che andavano consumate previa cottura e non crude, ma pesava il pregiudizio che non comparendo nella Bibbia e crescendo sotto terra, fossero un prodotto del demonio per via dell’aspetto bitorzoluto e irregolare, erano inoltre associate alla stregoneria e a malattie quali la lebbra. Solo nel Settecento le patate cominciarono a diffondersi massicciamente, spinte dai governi perché avevano un rendimento molto maggiore rispetto ai cereali e maturavano in meno tempo. In alcuni contesti, come l’Irlanda, finirono per soppiantare le altre colture tradizionali con conseguenze tragiche: quando tra il 1845-49 la diffusione del fungo Phytophthora infestans determinò la perdita di gran parte dei raccolti, gli irlandesi furono falcidiati dalla fame e dalle malattie e costretti a emigrare.
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