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“L’ultimo scrivano”, il film girato con il telefonino che racconta il Salento e l’anima smarrita di un uomo

“L’ultimo scrivano”, il film girato con il telefonino che racconta il Salento e l’anima smarrita di un uomo

“L’ultimo scrivano”, il film girato con il telefonino che racconta il Salento e l’anima smarrita di un uomo

Antonio Nuzzachi, di Settimo Torinese, torna dietro (e davanti) la macchina da presa per firmare un'opera drammatica che è al tempo stesso racconto, confessione e riscatto. Un viaggio nell’identità e nelle radici, girato interamente con un cellulare, perché a volte la semplicità è il modo più diretto per arrivare al cuore.

Una storia girata tra i colori e le pietre del Salento, tra le spiagge di Santa Cesarea Terme e gli uliveti di Botrugno, dove il tempo sembra essersi fermato e dove, paradossalmente, è più facile riscoprirsi.

“L’ultimo scrivano” è il titolo del film che sarà proiettato il 6 agosto 2025 a San Cassiano (LE) e il 13 agosto a Botrugno (LE). Un titolo che sembra uscito da un manoscritto antico, e invece ci parla con voce contemporanea. Quella di Ariel De Costa, celebre scrittore, uomo di successo, autore apprezzato ma smarrito, che ha dimenticato il proprio nome d’origine, Araldo, e con esso la verità di chi è.

Nuzzachi

Il regista sceglie di raccontare questa storia usando un mezzo che appartiene a tutti: il telefonino. Non è un vezzo né una sfida tecnica, ma una scelta precisa. “Spesso siamo lontani anche se connessi. Volevo capovolgere questa logica. Ho voluto usare il telefonino per riportare intimità, non per eliminarla”, spiega Antonio Nuzzachi. Ed è proprio grazie a questo linguaggio visivo che il film riesce a essere autentico, a trasmettere emozioni spoglie da filtri estetici e pieni di carne viva.

Tutto ha inizio con una telefonata. Una voce dall’altro capo del filo informa Ariel che ha ereditato un casolare a Botrugno. Quel luogo dimenticato diventa la chiave che apre il varco verso il suo passato. Là, tra pareti scrostate e odore di carta antica, incontra Grazia De Costa (interpretata da Maria Grazia Leuzzi), una donna forte e misteriosa, ignara di essere sua cugina. È lei a risvegliare in Ariel i ricordi e le domande, a fargli da specchio e a condurlo dentro una verità più grande di lui.

Il ritrovamento di un manoscritto firmato Araldo De Costa, il nonno, cambia tutto. Un contadino? No, un uomo di lettere. Un nobile scrivano, un cantastorie del Sud che aveva fatto della parola la sua arma di resistenza. E Ariel, chiamato ora a riscoprire quella missione, comprende il significato dell’epigrafe che lo perseguita da giorni: “Sei l’ultimo scrivano”.

La storia si muove tra l’ombra e la luce, tra i fallimenti personali e la speranza di un nuovo inizio. I paesaggi salentini diventano personaggi a loro volta: il mare che lenisce, la terra che richiama, i silenzi che gridano più delle parole.

E così il viaggio non è solo geografico, ma esistenziale. Ariel non torna indietro. Va avanti, abbracciando finalmente ciò che ha cercato di fuggire: le proprie radici, il dolore, il senso perduto dell’essere umano. Perché scrivere non è solo raccontare, è salvarsi. Ed è anche salvare gli altri.

“L’ultimo scrivano” è un film che non ammicca, non gioca di furbizia, non cerca il consenso facile. È un’opera che pone domande scomode, che invita a guardarsi dentro, a interrogarsi su chi siamo davvero quando smettiamo di fingere. È un inno alla lentezza, alla memoria, al coraggio di fermarsi e ascoltare.

È anche, inevitabilmente, un omaggio a un Salento che non è solo sfondo da cartolina, ma terra di anime profonde, di storie dimenticate, di resistenze silenziose. Un Salento che ha bisogno di essere raccontato con rispetto e autenticità. E Antonio Nuzzachi, da Settimo Torinese, lo fa. Da scrivano.

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