Una lettura avvincente, un pugno nello stomaco necessario a risvegliare le coscienze, a fare Memoria con le parole di Grossman. Il racconto di Treblinka come non l’avevate mai udito. Così è stato venerdì scorso,
27 gennaio 2023, nel Rifugio antiaereo di Ivrea. All’interno delle gallerie, guidati da pallide fiammelle
lungo il percorso, si sono snodate le impressionanti atrocità commesse nel lager. I ragazzi del Liceo Gramsci, di Spazio Comunitario, sono stati stupendi. La partecipazione del pubblico numerosa.
Le foto che pubblichiamo sono state scattate dagli stessi genitori degli alunni recitanti, e le abbiamo mescolate al testo scritto, per dare un senso di completezza ad un evento che riscuote gran successo e, soprattutto, scuote le coscienze.
E l’impresa continuerà con la prossima lettura scenica de ''IL FUMO DI BIRKENAU. Storia di una madre clandestina'' tratta dal libro omonimo di Liana MILLU, sempre qui, al Rifugio…
L'INFERNO DI TREBLINKA
Abbiamo pensato, in occasione di questa Giornata, di porci una sola domanda: Che cos'è la memoria? Forse, alla fine di questo percorso, troveremo una risposta. Ma per cercarla, occorre partire da un luogo il cui ricordo i nazisti vollero cancellare per sempre.
A est di Varsavia il fiume si allunga tra sabbie e paludi, boschi fitti di pini. Sono luoghi deserti e desolati, con qualche raro villaggio.
Chiunque si trova a passarvi evita accuratamente quei sentieri stretti, dove i piedi affondano.
Anche lo sguardo annoiato di coloro che vi furono scaricati nel 1942 avrà scorto di sfuggita la monorotaia, che partendo dalla stazione si perdeva nel bosco, fino a giungere a una cava di sabbia bianca.
Da queste parti la terra è avara, sterile, i contadini non la lavorano.
E quello spiazzo incolto è rimasto tale.
Lì venne eretta la principale fabbrica della morte delle SS, degna copia di Auschwitz.
Il lager di Treblinka era diviso in 2 campi: il numero 1 – il campo di lavoro forzato, sorgeva proprio accanto alla cava.
Era un lager come tanti, come le centinaia di altri lager che la Gestapo costruì nei territori occupati, ad Est. Sorse nel 1941.
Risparmio, precisione, attenzione maniacale alla pulizia, sono caratteristiche tutt'altro che negative e tipiche di molti tedeschi.
Se applicate all'agricoltura o all'industria danno il giusto frutto.
Il nazismo le applicò ai crimini contro l'umanità: le SS del campo di lavoro polacco agivano proprio come se stessero coltivando cavoli o patate.
Vi erano baracche in fila perfetta, strade di sabbia e di cemento, una panetteria modello, un parrucchiere, giardinetti e fontanelle dell'acqua potabile.
Oggi possiamo descrivere nel dettaglio l'ordine che vi regnava.
Decine di uomini e donne lavoravano alla cava. Sappiamo cosa mangiavano: pochi grammi di pane e un litro di brodaglia spacciata per minestra
Sappiamo dei morti per fame.
Sappiamo di quel giovane colosso, colto da accessi di risa ogni volta che ammazzava qualcuno, o che un prigioniero veniva giustiziato in sua presenza. "La morte che ride", l'avevano soprannominato.
L'ultima volta che sentirono il suo riso, fu quando per suo ordine fucilarono i
ragazzini del coro.
Sappiamo del "virtuoso del martello" , che, in pochi minuti, uccise a martellate 15 bambini dagli 8 ai 13 anni che non potevano lavorare.
Tutti questi esseri non avevano nulla di umano.
Cervello, cuore, anima, parole, gesti erano deformati, una orrenda caricatura che, a stento, ricordava pensieri e sentimenti umani.
Così viveva Treblinka, e si poteva pensare che non ci fosse nulla di più orrendo.
La popolazione del campo 1, invece, sapeva bene che qualcosa di più tremendo, di cento volte più orrendo c'era eccome!
A tre chilometri dal campo di lavoro, nel 1942, i tedeschi iniziarono a costruire un lager per gli ebrei. La sua esistenza doveva restare assolutamente segreta, nessuno doveva uscirne vivo. Si sparava senza preavviso a chiunque capitasse anche solo a un chilometro di distanza, e gli aerei tedeschi non erano autorizzati a sorvolare l'area.
Diamo un po’ di numeri…
I treni arrivarono a Treblinka per 13 lunghi mesi e su ogni vagone era scritto un numero col gesso : 150, 180 o 200 ........ Il numero delle persone che trasportava. Il totale di coloro che vi furono condotti si aggira intorno ai 3 milioni di persone.
Il lager occupava uno spazio limitato: 780 metri per 600.
Viene da chiedersi dove siano finite tutte quelle persone che, insieme, potevano costituire la popolazione di un piccolo Stato, o di una grande capitale europea.
Allora è tempo di porre la fatidica domanda: Caino, dove sono coloro che hai condotto qui?
Se davvero Hitler avesse vinto sarebbe senza dubbio riuscito a cancellare le tracce dei crimini commessi, avrebbe costretto al silenzio tutti i testimoni, poco importa che non fossero migliaia, ma decine di migliaia! Nessuno avrebbe aperto bocca.
Oggi, passo dopo passo, possiamo ripercorrere i gironi di un inferno, quello di
Treblinka, in confronto al quale l'inferno di Dante, é uno scherzo innocente di Satana.
E , allora, affrontiamoli i gironi dell'inferno di Treblinka!
Chi finiva sulle tradotte? Ebrei soprattutto, poi polacchi e zingari.
Ad Est e in tutta la Polonia, già si mormorava di quel luogo, e la parola "Treblinka" divenne tabù per le SS.
In ogni vagone merci si viaggiava stretti gli uni agli altri, in piedi, tra i cadaveri che si decomponevano, senz'acqua, al buio, un anticipo della morte.
I treni dall'Europa invece arrivavano senza scorta, con il personale ferroviario, i vagoni letto e le carrozze ristorante.
Difficile dire cosa sia peggio: andare incontro alla morte sapendo di essere prossimi alla fine o guardare fuori da un vagone di prima classe e osservare la stazione del lager, ignari di tutto.
Nello spiazzo esterno, le madri tenevano in braccio i bambini più piccoli, mentre i più grandi si guardavano intorno circospetti.
C'era qualcosa di angosciante, in quel piazzale calpestato da milioni di piedi.
Subito dettagli preoccupanti. Sul terreno restavano oggetti sparsi, un fagotto di vestiti, valigie aperte, pentole. Cosa ci facevano lì? E perché il binario finiva dentro la stazione?
Perché l'erba era giallastra? Perché quella barriera di 3 metri di filo spinato?
Perché le guardie avevano quello strano ghigno sulle labbra, mentre li osservavano? Già quel ghigno!
Per loro, i nuovi arrivati non erano esseri umani.
Lo sguardo di superiorità della bestia viva, sull'uomo morto.
Che cosa c'era laggiù?
Le coperte fanno spavento: multicolori, in seta, sembrano proprio quelle che anche loro hanno messo in valigia. Cosa ci fanno lì? Chi le ha portate? Che fine hanno fatto i proprietari?
Perché non hanno più bisogno di coperte in novembre?
I nuovi arrivati sono invitati a lasciare il bagaglio sullo spiazzo e a recarsi ai "bagni", coi soli documenti, i gioielli e il necessario per lavarsi.
Chiedere aiuto? E a Chi? Il mondo, tace, schiacciato, dai banditi in camicia bruna che lo hanno in pugno.
Intanto sul piazzale, altri duecento individui con la fascia azzurra al braccio, selezionano quanto hanno lasciato le vittime. Svelti, silenziosi, slegano i fagotti, aprono le valigie. Bisogna avere occhio per scegliere in pochi minuti fra quelle migliaia di oggetti, quelli da spedire in Germania.
Il "trasporto", così si chiama la fase appena descritta. Poi, ordini rapidi, continui, assillanti.
ACHTUNG! ACHTUNG!
GLI UOMINI RESTINO DOVE SONO.
DONNE E BAMBINI A SPOGLIARSI, NELLE BARACCHE!
L'ultimo incontro. Baci, benedizioni, abbracci, lacrime, qualche parola frammentata. Le SS, psichiatri della morte, sanno che sono sentimenti da stroncare sul nascere.
ACHTUNG! ACHTUNG!
PORTATE NEI BAGNI GIOIELLI, DOCUMENTI, DENARO, SAPONE.
PORTATE NEI BAGNI GIOIELLI, DOCUMENTI, DENARO, SAPONE
Le donne, perché le rasavano? Per dar loro l'illusione di lavarsi?
No, perché la Germania aveva bisogno dei loro capelli.
Erano materia prima e io mi sono chiesto che cosa facessero della montagna di capelli che rasavano a quei cadaveri ancora in vita. Che cosa se ne facevano?
Si è saputo poi che a utilizzarli era la Marina militare, i capelli servivano a riempire materassi, o a fare corde per i sommergibili.
La svolta decisiva!
Le vittime nude, vengono condotte a uno sportello, la "cassa", dove sono invitate a consegnare documenti e preziosi.
E' qui che si passa da visioni di vita a visioni di morte, che la musica cambia.
Per funzionare bene la catena di montaggio della morte ha bisogno di nuove norme.
SVELTI , SVELTI , VELOCI A SPARIRE PER SEMPRE!
All'improvviso le SS scatenano una crudeltà assurda , illogica.
Un rettilineo lungo 120 metri e largo 2 conduce al patibolo.
Sui due lati del viale si snoda una barriera di filo spinato, in piedi, spalla contro spalla.
A terra delle tracce incerte, piccole, piedi di donne,
Ancora più piccole, di bambini. Sono tutto ciò che resta delle migliaia di persone che hanno percorso lo stesso tratto di strada, come stanno facendo queste altre 4000 e come, dopo di loro, faranno quelle che aspettano sul binario nel bosco. Oggi, come per tutti i 13 mesi in cui esistette Treblinka.
I tedeschi la chiamavano "La strada senza ritorno"
Un altro essere dall'apparenza umana, una SS. Era specializzato in bambini. Quel mostro pescava un bambino dal gruppo, lo brandiva come una clava e gli sbatteva la testa per terra, oppure gli spezzava la schiena.
Quando seppi dell'esistenza di quell'essere, nato pur sempre da un ventre di donna, non volevo credere a ciò che su di lui mi dicevano.
Ma quando sentii raccontare con le mie orecchie da testimoni diretti, dovetti
rassegnarmi al fatto che quel mostro era esistito. Le sue azioni erano necessarie, erano quello che ci voleva per annientare la psiche delle vittime. Erano un ingranaggio utile e necessario all'enorme macchina dello Stato nazista.
A farci orrore non devono essere simili esseri, ma lo Stato che li ha fatti uscire dalle loro tane, dalle tenebre, e li ha resi indispensabili a Treblinka, come ad Auschwitz.
Il tragitto richiede pochi minuti e le vittime hanno di fronte un bel edificio in pietra e legno, che sembra una chiesa antica. Cinque gradini conducono ad un portone basso e largo. All'interno ci sono fiori e vasi di piante, e tutto intorno, il caos.
Cumuli di terra ed una enorme ruspa, latrati furiosi di decine di cani da pastore tedeschi.
Le ampie porte si spalancano e appaiono due maniaci: Uno alto, sui trent'anni, spalle larghe, viso sorridente, capelli neri. L'altro, più giovane, basso, castano, guance pallide. Quello alto ha un grosso pezzo di tubo in una mano e un manganello nell'altra. L'altro impugna una sciabola.
Intanto le SS hanno liberato i cani che si avventano sulla folla e lacerano quelle carni nude… fino alle camere a gas.
Gli uomini sono rimasti uomini, non hanno accolto la morale e le leggi naziste, le hanno contrastate con la loro umanissima morte.
Nessuno conosce né conoscerà mai il loro nome
Ma è davvero così?
Il nazismo avrebbe voluto cancellare i loro nomi dalla memoria del mondo.
Ma tutte quelle persone, le madri che fecero scudo ai propri figli, i figli che asciugarono le lacrime dei loro padri, chi si batté con il coltello in pugno, e morì in una notte di battaglia, la ragazza nuda che, come una dea greca, lottò da sola contro decine di nemici, tutti coloro che hanno lasciato questa vita, conserveranno in eterno il migliore dei nomi, un nome che la banditaglia dei vari Hitler non è riuscita a calpestare: erano uomini. E nei loro epitaffi la storia scriverà : "Qui riposa un essere umano!"
Avremo mai la forza di pensare a che cosa sentissero, a che cosa provassero nei loro ultimi minuti coloro che si ritrovavano nelle camere a gas?
Si sa che restavano in silenzio, In piedi, stretti gli uni contro gli altri come un sol uomo tanto da spezzarsi le ossa, da schiacciarsi la cassa toracica, tanto da non poter respirare.
A qualcuno sarà apparso davanti agli occhi il ghigno della SS che lo aveva accolto fuori della stazione: Ecco perché rideva.
I cadaveri vengono caricati sui carrelli e scaricati in enormi fosse.
Tutto è calcolato perché i condannati imbocchino la "strada senza ritorno" nel
momento stesso in cui gli ultimi cadaveri vengono trasportati dalla camera a gas alle fosse. Che restano aperte, in attesa. Un'attesa che non dura mai troppo a lungo.
Questi crimini commessi a 60 chilometri da Varsavia dovevano essere cancellati dalla nostra memoria, soprattutto dopo Stalingrado, dopo la caduta del nazismo. A Treblinka, una ruspa scavò una fossa lunga 250-300 metri, larga 20-25 e profonda 6. Lungo tutto il fondo vennero posate tre file di piloni di cemento armato alti un metro e 20 dal suolo. Su quelle travi vennero posati dei tronconi di binario a pochi centimetri l'uno dall'altro: la gigantesca graticola di un forno ciclopico.
Le SS sceglievano donne e bambini e, invece di portarli alle camere a gas, li conducevano alle graticole. Lì, costringevano le madri impazzite per l'orrore a mostrare ai figli le griglie incandescenti dove, fra le fiamme e il fuoco, i corpi si accartocciavano a migliaia e dove i morti parevano riprendere vita e contorcersi; dove ai cadaveri delle donne incinta scoppiava il ventre e quei bambini morti ancor prima di nascere bruciavanofra le viscere aperte delle madri.
Certe scene avrebbero sconvolto le menti dei più temprati fra gli uomini, ma l'effetto era cento volte maggiore su quelle madri che con le mani tentavano di coprire gli occhi ai figli e i tedeschi lo sapevano.
Nel suo inferno Dante non le vide scene come queste.
E dopo essersi goduti lo spettacolo, i tedeschi li gettavano davvero tra le fiamme, i bambini.
Leggere di queste cose è durissimo. E credetemi, voi che ascoltate, non è meno duro leggerne.
Perché farlo allora? Perché ricordare?
Chi legge ha il dovere di raccontare una verità tremenda e chi ascolta ha il dovere civile di conoscerla, questa verità.
Chiunque giri le spalle, chiuda gli occhi, o passi oltre offende la memoria dei caduti.
Ma nell'inferno di Treblinka ci fu anche una luce, dovuta alla follia di alcuni audaci.
Non se ne sarebbero andati prima di aver raso al suolo Treblinka.
La rivolta venne fissata per il 2 agosto. Il segnale fu un colpo di pistola.
La sacra impresa fu coronata da successo e nel cielo si levò alta una nuova fiamma che non era quella grassa di fumo dei cadaveri che ardevano.
Il lager bruciava, e per gli insorti fu come se il Sole stesso si fosse strappato dalla sua orbita e stesse ardendo proprio sopra Treblinka, per celebrare il trionfo della libertà.
Dopo quel 2 agosto Treblinka smise di esistere
Oggi neanche il suolo di Treblinka vuole essere complice dei crimini commessi da quei mostri e sputa fuori le ossa dei morti, le loro cose.
Arriviamo a Treblinka all'inizio di settembre del 1944, 13 mesi dopo la rivolta.
Continuiamo a camminare su quella terra senza fondo, ma poi ci fermiamo.
Di colpo. Capelli biondi di una ragazza si mescolano alla terra calpestata.
Poco distante altri boccoli chiari, e poi altri e altri ancora. Deve essere il contenuto di un sacco, uno solo ! Dimenticato o mai partito. L'ultima speranza che sia soltanto un incubo crolla.
Come è potuto succedere? Se lo chiedono scienziati, sociologi, criminologi, psichiatri e filosofi.
E' colpa della genetica, dell'educazione o dell'ambiente? Come è potuto accadere?
Oggi ogni singolo uomo è tenuto, dinanzi alla sua coscienza, a suo figlio e a sua madre, dinanzi al genere umano, a rispondere con tutta la forza del cuore e della mente a questa domanda:
Che cosa ha generato il razzismo?
Che cosa bisogna fare perché il nazismo, il fascismo non abbiano a risorgere mai e poi mai in secula seculorum?
Guardate questa immagine: l'Angelus Novus di Paul Klee.
Come vedete, l'angelo della storia si sta allontanando da noi e ci fissa in viso.
Ci insegna che siamo noi, gli Attesi. Attesi da loro, i Sommersi, come scriveva Primo Levi.
Ecco! la risposta che cercavamo, all'inizio… vi ricordate?
Quella domanda che ci siamo fatti, all'inizio?
Che cos'è la memoria?
Forse la memoria è il modo migliore per non deludere quell'attesa, per rendere giustizia a chi non è tornato da quell'inferno e ci interroga ancora.
Testi tratti dal libro di Vasilij Grossman
Prefazione e postfazione del professor Davide Bombino
Un grazie particolare a Elena, Laura, Andrea, Corrado, Ignazio dell’Anpi per la collaborazione