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04 Luglio 2016 - 11:36
Isis o non Isis. E' questa la margherita che esponenti governativi, dei servizi di intelligence e i media del Bangladesh stanno sfogliando dopo lo shock suscitato dal massacro di 20 civili stranieri - tra cui 9 italiani - compiuto venerdì nella Holey Artisan Bakery di Dacca.
Da giovani terroristi rampolli di ricche famiglie locali arruolatisi nelle file della jihad "per moda", secondo la versione del ministro dell'Interno.
E' stato necessario assistere ad una strage in un gettonato ristorante della classe medio-alta, la più grave mai registrata nella storia del Paese, perché il governo - che da sempre nega infiltrazioni della rete del terrore globale in Bangladesh - esaminasse con la dovuta attenzione la rivendicazione dell'azione da parte dei seguaci del 'Califfo' Abu Bakr al-Baghdadi. Dal febbraio 2015, quando gli attacchi a intellettuali, blogger, stranieri ed esponenti di minoranze religiose si sono fatti sempre più frequenti, Isis e Al Qaida se li sono sistematicamente attribuiti, collezionandone oltre una ventina ciascuno. Fino alla strage nella Bakery del quartiere diplomatico di Gulshan-2, che l'Isis ha fatto sua assicurando attraverso Amaq, l'agenzia di stampa del 'Califfato', che è stata opera di un commando bengalese di cui si conoscono anche i nomi (oltre che i volti) dei cinque componenti: Akash, Badhon, Bikash, Don e Ripon. Erano seguiti da tempo dalle forze dall'intelligence locale, ha fatto sapere l'ispettore generale della polizia del Bangladesh, AKM Shahidul Hoque.
E stavolta all'interno del governo sono cominciate ad affiorare le prime divergenze. Fino a qualche mese fa la premier Sheikh Hasina ed i suoi ministri escludevano la presenza dell'Isis o di Al Qaida nel Paese, ripetendo che i colpevoli degli attentati non erano altro che i membri dell'opposizione guidata dal Partito nazionalista bengalese (Bnp) della 'begum' Zia Khaleda, ed in particolare il suo alleato Jamaat Islami.
Oggi il più radicale nel continuare a negare la presenza di miliziani riconducibili all'Isis nel Paese è stato il ministro dell'Interno, Asaduzzaman Khan, che ha insistito nel mantenere la questione entro i confini nazionali, attribuendo la responsabilità dell'attacco ad un gruppo jihadista indigeno, il Jumatul Mujaheddin Bangladesh.
Gli autori del massacro sono "tutti istruiti, provenienti da famiglie benestanti, sono andati all'università e nessuno di loro ha mai frequentato una madrassa", ha dichiarato il ministro. E alla domanda sul perché sarebbero diventati militanti islamici, Khan ha risposto secco: "E' diventata una moda".
Non la pensa proprio così il numero due del ministero degli Esteri bengalese MD Shahidul Haque che oggi, presentando all'ambasciatore d'Italia Mario Palma le condoglianze per le vittime italiane, ha sostenuto che "la gente qui è scioccata e sorpresa perché si chiede come mai dei giovani possano essersi radicalizzati così tanto". Haque, a differenza del ministro dell'Interno, non ha respinto categoricamente che possa essersi davvero trattato di un'azione coordinata dall'Isis. Ma anche lui ha confermato che "gli autori non vengono dall'Iraq o dalla Siria, sono giovani bengalesi, molti dei quali colti, con buone prospettive ed appartenenti alla classe media del Paese".
Intanto un video amatoriale del blitz dell'esercito di ieri all'alba - girato da un cittadino sud-coreano da una finestra che si affaccia sul ristorante attaccato dai terroristi - ha sorpreso gli esperti e gettato altri dubbi sulla versione ufficiale fornita dalla polizia bengalese. I portavoce ufficiali avevano infatti assicurato di aver liberato numerosi ostaggi grazie all'intervento armato. Ma le immagini sembrerebbero mostrare che vi sia stato un rilascio volontario di persone, probabilmente musulmani, fra cui bambini e donne velate, che si vedono camminare con calma attraversando un giardino prima dell'intervento dei blindati, impiegati dopo oltre 10 ore per mettere fine alla presa di ostaggi.
Infine c'è da segnalare che per non restare indietro all'Isis nella corsa per la leadership del terrore in Asia meridionale, il leader di al Qaida nel subcontinente indiano (Aqis), Asim Umar, ha incitato i musulmani dell'India a "sollevarsi" e a lanciare attacchi alle autorità e alla polizia indiane. E per questo ha evocato l'esempio dei "lupi solitari" in Europa.
Torino si prepara ad un'altra giornata di lutto cittadino per una vittima caduta per mano dei terroristi, Claudia D'Antona, l'imprenditrice di 56 anni uccisa nell'attacco di Dacca. Un anno e mezzo fa aveva pianto i turisti massacrati al museo del Bardo di Tunisi, Antonella Sesino e Orazio Conte: nel marzo 2015 una folla commossa si era radunata al santuario della Consolata.
L'addio a Claudia D'Antona sarà invece dato, in forma privata, nella parrocchia di Gesù Nazareno, in piazza Benefica, dove la donna era stata per tanti anni scout.
La sorella di Claudia, Patrizia D'Antona, e il marito, Marco Porcari, hanno ricevuta una telefonata dal sindaco Chiara Appendino, che ha offerto il pieno sostegno della città.
L'arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, in Francia per un pellegrinaggio mariano, ha pregato per la vittima torinese e condannato "senza distinguo" le "strategie del terrorismo".
I famigliari di Claudia D'Antona stanno attendendo notizie sul rimpatrio della salma e riguardano con dolore e nostalgia le immagini felici del passato dalla capitale del Bangladesh, gli scatti di due anni fa al matrimonio nell'ambasciata italiana con Gian Galeazzo Boschetti, che si è salvato solo perché era uscito in giardino a fare una telefonata.
Ai funerali ci saranno gli amici della parrocchia, i vecchi compagni di scuola, ma anche tanti altri torinesi che in queste ore vogliono sapere la data della cerimonia funebre. "Mia sorella - è il ricordo di Patrizia D'Antona - era una persona che aveva un grande cuore, capace di grandi riflessioni interiori ma altrettanto aperta verso il prossimo, sempre pronta a legare con la gente e fare conoscere le persone tra di loro".
Nella 'sua' Torino, dove amava tornare spesso, anche se da 25 anni viveva in Oriente, Claudia D'Antona ha lasciato tanti ricordi, soprattutto quelli per il suo impegno da volontaria della Croce Verde. E in Bangladesh aveva proseguito nel suo impegno umanitario finanziando una onlus che curava i bambini con deformità e le donne sfregiate con l'acido.
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