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26 Settembre 2014 - 10:12
De Benedetti e Passera
La procura di Ivrea tira le somme dell'inchiesta sulle morti da amianto negli stabilimenti della Olivetti. A trentanove persone che a partire dagli anni Sessanta hanno ricoperto incarichi dirigenziali e di vertice nella società e nelle sue articolazioni è stato notificato il rituale avviso di chiusura indagine.
Fra i destinatari del provvedimento ci sono Carlo De Benedetti, che fu amministratore delegato e presidente del Consiglio di amministrazione dal 1978 al 1996, il fratello Franco, i figli Marco e Rodolfo, e poi l'ex ministro Corrado Passera e l'imprenditore Roberto Colaninno. Si procede per la morte di quattordici ex lavoratori, dovuta secondo l'indagine al contatto con le fibre d'amianto, e per un caso di lesioni colpose. Nell'atto, firmato dai pm Gabriella Viglione e Lorenzo Boscagli, si fa presente che "al momento" la procura eporediese "non intende richiedere l'archiviazione".
"Carlo De Benedetti ribadisce con forza la propria totale estraneità ai fatti - si legge in una nota diffusa dal suo portavoce - e attende con fiducia le prossime fasi del procedimento nella convinzione che all'esito di questa complessa indagine svolta dai pubblici ministeri, una volta al vaglio del giudice, possano essere chiariti i singoli ruoli e le specifiche funzioni svolte all'interno dell'articolato assetto aziendale della Olivetti. Nel ribadire la propria vicinanza alle famiglie degli operai coinvolti, l'ingegner De Benedetti ricorda ancora una volta che, nel periodo della sua permanenza in azienda, l'Olivetti ha sempre prestato attenzione alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, con misure adeguate alle normative e alle conoscenze scientifiche dell'epoca".
L'inchiesta eporediese disegna, per la storica fabbrica di macchine per scrivere fondata nel 1908 da Camillo Olivetti e poi diventata un'industria di elettronica e informatica, un panorama di violazioni nelle norme in materia di sicurezza. Il procuratore di Ivrea, Giuseppe Ferrando, parla di "carenze nella prevenzione". L'amianto si annidava nel talco utilizzato per il montaggio degli apparecchi e soprattutto in vari punti degli stessi capannoni, fra le tubature a vista e i rivestimenti di pareti e soffitti. La manutenzione non era accurata, le fibre si disperdevano nell'ambiente e i lavoratori, privi di adeguate informazioni, non venivano dotati di mezzi di protezione personale sufficienti.
I magistrati mettono l'accento soprattutto sulla questione ritardi. Nel 1974 l'azienda formò una Commissione permanente e nel 1977 elaborò un documento sull'uso dell'amianto che però non faceva cenno all'"amianto strutturale". Il talco contaminato venne sostituito solo nel 1986. Nel locale mensa di via Jervis, dove l'amianto era presente in "materiale friabile", fino al 1988 e non si adottarono "misure igieniche che consentissero ai lavoratori di mangiare, bere e sostare senza rischio di contaminazione". Non si ammalarono soltanto operai, elettricisti, addetti alla verniciatura o ai trattamenti termici: c'è anche il caso (lesioni colpose) di Bruna Luigia P., colpita da un mesotelioma "insanabile". La donna era un'impiegata amministrativa, aveva incarichi da scrivania. A fine carriera, per esempio, lavorava al Centro Studi Olivetti.
Ma l'amianto era anche in quegli uffici, nascosto nell'intonaco.
Gli indagati, ora, possono chiedere di essere ascoltati, presentare memorie, proporre di svolgere altre indagini.
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