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20 Dicembre 2019 - 16:12
Manital protesta
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(da LA VOCE DEL 17/12/2019) Insomma, siamo forse all’epilogo di una storiaccia, una farsa di cui ancora non si riesce a vedere il finale, ma che quotidianamente racconta di un’azienda che già non c’è più a prescindere da quel che dicono i nuovi amministratori di Igi. E si comincia dalle rescissioni. Quelle che riguardano Olicar e che in buona sostanza le han tolto tutto il lavoro: dell’ospedale di Orbassano, dell’ospedale di Rieti, dell’Asl di Tivoli e degli ospedali della Valtellina. E poi c’è Manital. La notizia confermata qualche ora fa è che, a pochi giorni da un riunione con i vertici di FCA è arrivata la rescissione di un contratto del valore di circa 20 milioni di euro. Il dubbio – qualcosa di più di un semplice sospetto – è che non si siano affatto bevuti le parole del nuovo Ad Luigi Grosso, ancor più quando Manital, pochi giorni dopo aver illustrato un piano industriale che fa acqua da tutte le parti (quello che favoleggia sui computer che cambiano le lampadine tanto per intenderci) ha chiesto loro di pagare gli stipendi in surroga… Sempre su Manital la clamoosa mazzata dell’azienda sanitaria di Enna e la richiesta danni da parte di Engie con cui Manital era in Ati. Insomma non se ne esce. S’aggiungono, nel raggio d’azione che conosciamo noi, e a conferma che la situazione è ormai fuori da ogni controllo, il distacco della corrente elettrica a Villa Burzio, cui seguirà, mercoledì (a meno che non si paghino le bollette) quello alla sede centrale di via Di Vittorio. Per la cronaca il riscaldamento già non c’è più… Finita qui? Neanche per idea. C’è Car Server che ha chiesto la restituzione di 400 tra auto e furgoni. E il consulente del lavoro Working Lab, con sede nello stesso edificio di via Di Vittorio in cui ha sede Manital, che è da circa un anno non fa più le buste paga. Insomma c’era una volta a Ivrea un’azienda florida, amica dei DS e poi del Pd, che fatturava 238 milioni di euro grazie agli appalti pubblici, che ristrutturava un castello trasformandolo in resort di lusso e che s’era addirittura comprata un’azienda di efficientamento energetico, la Olicar. C’era ma ad un certo punto entra in crisi di liquidità, punta il dito sui ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione (che ancora deve 73 milioni di euro su 189 milioni di crediti in bilancio) e, d’un tratto, spunta lui che con 50 mila euro rileva tutto quanto. Lui è Giuseppe Incarnato della Igi Investimenti, una piccola srl che nel 2018 ha chiuso il bilancio con un fatturato di appena 77 mila euro, una perdita di 14 mila euro e debiti per 4,5 milioni. “I sindacati temono il peggio – ha scritto il Fatto Quotidiano – la I.G.I investimenti è infattti una piccola srl. Curiosamente è omonima della Igi Sgr di Interbanca, colosso che gestisce centinaia di milioni di investimenti”. Incarnato promette di sistemare tutto in venti giorni (ma sono già passate parecchie settimane) poi chiede ai committenti di pagare gli stipendi al posto suo, infine “ripromette” di saldare i dipendenti entro il 20 dicembre. Prova provata che non ha il becco di un quattrino…. Incarnato è un soggetto noto alle cronache per aver rilevato il Giornale dell’Umbria (chiuso dopo meno di un anno) ma anche e soprattutto per una richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Roma per bancarotta nell’ambito dell’inchiesta sul mega crac dell’Idi, l’istituto dermatologico del Vaticano di cui è stato direttore generale. Nello specifico era accusato d’aver emesso fatture false… Da qui tutti i dubbi – consentiteceli – su un piano industriale con una ricapitalizzazione di 50 milioni di euro in cinque anni, da investire in tecnologie, grazie alla quale si prevede di fatturare 450 milioni entro il 2024 in sinergia con la neonata azienda Telco di Incarnato, Semitechgroup, e “l’abbandono delle commesse del settore pubblico” (di cui Consip non sa nulla). Beninteso una ricapitalizzazione che passerebbe dalla vendita di tutte le partecipazioni di controllo (come MGC) a fronte di un indebitamento che sta crescendo a vista d’occhio, cresciuto da mane a sera a 65 milioni di euro da 46 che era. S’aggiunge la multa da 33 milioni (che si vorrebbe “patteggiare”) inflitta dall’Antitrust a Manital per aver fatto cartello con altre aziende in una gara Consip da 2,7 miliardi e tutti sanno che quando si viene multati, o si paga o si va al Tar. E poi i debiti con le banche da ristrutturare e quelli con l’Agenzia delle entrate (pari a 200 milioni di euro) da rateizzare. Una piano industriale e una nuova ragione sociale (Italmantec). Una nuova sede legale a Roma e non più a Ivrea. E gli stipendi? Urlavano fuori dal Municipio, sabato scorso un nutrito gruppo di dipendenti. Manital li pagherà come promesso entro il 20 dicembre oppure no? “Questo l’ha detto il sindaco…!”, aveva commentato Grosso in conferenza stampa al castello di Parella. Se non è una presa per i fondelli questa diteci voi che cos’è!Edicola digitale
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