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06 Luglio 2018 - 15:24
Leggende e curiosità dal mondo sul Ponte del Diavolo di Lanzo Torinese e sul suo parco naturale: sono trascorse alla ricerca di nuovi punti di vista e all’insegna della provocazione intellettuale due ore di conferenza per celebrare i 40 anni dalla costituzione del Comitato Ponte del Diavolo a cura del sottoscritto, in qualità di vice Presidente, e di Daniele Pesce dei servizi educativi dell’Ente di gestione dei Parchi Reali.
Una conferenza aperta dalla Presidente del Comitato, Renata Bogino, ricca di notizie naturalistiche, storiche e legate alla particolare conformazione delle rocce del parco naturale, nato nel 1970 e oggi amministrato dall’Ente presieduto da Luigi Chiappero.
Ma procediamo per gradi perché tante sono le curiosità emerse e poco note, a partire dalla unicità geologica delle rocce sulle quali è stato costruito il ponte, nel 1378. Una roccia che proviene da molto lontano: dal mantello della crosta terrestre, a circa 50 chilometri di profondità, emersa per effetto della pressione, in milioni di anni, tra la placca continentale e la pianura padana. Quello che in geologia è noto come massiccio di Lanzo altro non è che un grande affioramento di peridotite fuoriuscito dalla crosta terrestre: quelle “rocce del diavolo” dove sono vivibili le “marmitte dei giganti”, caratterizzate dal loro colore rossastro perché ricche di ferro, al punto che in alcune parti è possibile attaccarci una calamita, sono presenti in pochissime zone del Vecchio continente e oltre a Lanzo si ritrovano sulla costa mediterranea del Marocco, non lontano dallo stretto di Gibilterra, e sulla costa sud della Spagna. Un ponte del diavolo non poteva, dunque, trovare una collocazione più idonea, stando alla sua leggenda.
Già ma quale leggenda?
Quella ricostruita da Silvio Bellezza dopo lunghi studi e attente comparazioni tra le differenti versioni che ci sono giunte attraverso la narrazione orale nelle famiglie e riportata nel suo libro “La neve rossa”, edizioni Genesi, 1999, custodito presso la Biblioteca civica di Lanzo, parla di un’opera titanica costruita dal demonio in persona in una sola notte di temporale, ma anche di un patto scellerato in base al quale in cambio del ponte la cittadinanza avrebbe donato al diavolo la prima anima che lo avrebbe attraversato. Questa leggenda, tuttavia, non è affatto autoctona come molti ritengono, ma accomuna centinaia di luoghi in Italia e in Europa dove esistono analoghi ponti in pietra dall’architettura ardita.
Nella mia relazione ne ho citati quattro: oltre a quello di Lanzo, il ponte in pietra di Pont Saint Martin in Valle d’Aosta; il Pont du Diable di Céret nel Roussillon, Calalogna francese; il Ponte della Badia di Montaldo di Castro nel parco naturalistico di Vulci, in provincia di Viterbo. Tutte queste leggende si assomigliano e, forse, non a caso. Utilizzando il sistema di classificazione delle fiabe e dei racconti del folklore denominato Atu Index, dal nome dei tre ricercatori che lo hanno sviluppato a partire dal 1910 al 2004 (Aarne-Thompson-Uther) Jamshid Tehani e Sara Graca da Silva hanno presentato a dicembre 2017 un lavoro scientifico sulla “The Royal Society Publishing” nel quale sono riusciti a ricostruire l’origine ultima di alcune fiabe e leggende diffuse in tutta Europa, pur con alcune varianti.
Partendo dall’assunto che i migranti del passato hanno lasciato tracce durature nelle tradizioni culturali della propria discendenza, tanto quanto i loro geni e il loro linguaggio, i due ricercatori si sono concentrati su 76 racconti standard identificandone l’origine nel Vicino Oriente, nella preistoria eurasiatica intorno a 5-6 mila anni fa. I pastori indoeuropei avrebbero, insomma, diffuso con le loro migrazioni i loro miti e le loro leggende in tutto il continente europeo e tra queste leggende ve ne è una di particolare interesse che ha molte similitudini con la leggenda della costruzione del ponte del diavolo: “The Smith and the Devil” ovvero il fabbro e il diavolo, la fiaba identificata con il codice Atu 330, una delle 2500 del sistema di classificazione Atu.
In questa leggenda standard, in cui si parla di un fabbro che chiude un accordo con il diavolo per ottenere il potere della fusione di tutti i metalli, cedendo in cambio la propria anima, ma trovando poi il modo di riscattarla, si ritrovano gli stessi “ingredienti” della leggenda dei “ponti”: il patto con il demonio, la creazione miracolosa e l’inganno finale del demonio stesso.
Per comprendere la diffusione delle leggende sui ponti del diavolo occorre allora ripercorrere a ritroso le ondate migratorie delle popolazioni dell’Anatolia verso Occidente, 5 o 6 mila anni addietro, al tempo delle prime lavorazioni del metallo di cui questa leggenda rappresenta molto probabilmente una sorta di traccia archeologica. Una leggenda certamente evolutasi nel medioevo cristiano, ma che ha mantenuto intatti i suoi caratteri peculiari: far stare insieme pietre e malta è qualcosa che ricorda la fusione del metallo, un’impresa sovrannaturale proprio come l’opera del fabbro nelle civiltà più antiche.
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