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19 Luglio 2017 - 16:30
stazione ferroviaria di Settimo Torinese negli anni trenta
In ogni epoca, numerosi progetti d’interesse pubblico non si sono tradotti in realtà. Di qualche importanza fu quello elaborato nel 1920 dall’ingegnere Emilio Boccardo e dal ragioniere Roberto Catella, entrambi con studio nel capoluogo subalpino, per una «ferrovia elettrica intermandamentale». Lunga poco più di quaranta chilometri, essa avrebbe dovuto unire le linee Torino-Milano e Torino-Genova, fra Settimo e Pessione, attestandosi infine a Poirino.
I proponenti ritenevano che la ferrovia dovesse avere caratteristiche analoghe alla Asti-Moncalvo-Casale Monferrato e alla Asti-Chivasso, rispettivamente aperte al traffico nel 1870 e nel 1912. Però, a differenza di queste ultime, esercite con locomotive a vapore, i due pensavano a «un tracciato più flessibile», simile a quello delle tramvie elettriche, in grado di raggiungere «centri abitati inaccessibili alle ferrovie secondarie o quanto meno accessibili solo mediante sviluppo costosissimo».
Boccardo ipotizzò di partire dalla linea Torino-Milano in prossimità della stazione di Settimo, a levante del cimitero allora esistente presso il rio San Gallo (attuali giardini pubblici di via Giuseppe Verdi), dove si sarebbe costruito uno scalo per le merci. Superata la roggia e sottopassata la strada di Brandizzo e Chivasso, il binario doveva correre sino al Po, non lontano dalla cascina Isola. Per valicare il fiume era previsto un ponte a sei luci: l’opera sarebbe servita sia per la ferrovia sia per una strada ordinaria.
Superato il Po, la linea ferroviaria Settimo-Poirino avrebbe raggiunto Gassino, raccordandosi con la tramvia Torino-Chivasso-Brusasco, per poi risalire la collina sino a Sciolze, scendere ad Arignano e dirigersi verso Chieri, dove era previsto il raccordo col tronco di Trofarello e la ferrovia per Genova. Correndo in aperta pianura, la linea avrebbe toccato Riva e Pessione, connettendosi nuovamente con le Ferrovie dello Stato, prima di pervenire al capolinea di Poirino. In un unico corpo di fabbrica presso Ca’ Dionigi, fra Arignano e Andezeno, si sarebbero collocate la centrale di conversione dell’energia elettrica, l’officina e la rimessa per il materiale rotabile. Al servizio dei viaggiatori avrebbero provveduto robuste automotrici, in grado di trainare due vetture per i passeggeri oppure due carri per le merci.
Solide certezze animavano Boccardo e Catella. «Se i due tronchi estremi – dichiararono – risultano di indiscutibile utilità a tutta la regione attraversata, il tronco centrale Gassino-Arignano viene a sopperire ad una necessità locale che è solo paragonabile a quella del pane quotidiano». In particolare, unendo Settimo e Pessione, la progettata linea avrebbe posto in collegamento «le due grandi vie di comunicazione internazionale» per Milano e Genova «nella deprecata ipotesi che, per qualsiasi causa e durata di tempo, il passaggio dei treni sull’unico ponte ferroviario sul Po, a Moncalieri», fosse risultato impedito. Mediante la linea di Cuorgnè e Pont, inoltre, si sarebbero incrementati i traffici fra «vastissime e fertili regioni» («ad esempio lo scambio dei prelibati vini collinari con le biade e i fieni della pianura canavesana»). La stessa Torino avrebbe beneficiato di «una inesauribile fonte di rifornimento in vini, in bestiame da macello, in pollame, in uova, in frutta e in cento altri prodotti agricoli».
Nonostante i buoni intendimenti, i disegni di Boccardo e Catella non trovarono realizzazione. E finirono ben presto a impolverarsi in uno scaffale dell’archivio comunale di Settimo Torinese.
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