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SETTIMO VITTONE. Il racconto di Mariella Beata Getto

Quest’anno l’estate si è prolungata ben oltre la data stabilita dal calendario. Nel nostro verde Canavese essa ha regalato cieli azzurri, boschi verdi e rigogliosi, e una pianura fertile e ben coltivata. E, sullo sfondo, le colline ondulate e il profilo delle montagne hanno completato il quadro, irradiando a ventaglio  nel cielo, la luce del sole al tramonto. In questo contesto  naturale, sin dal tempo dei Celti, gli uomini trovarono il modo di rendere  produttivo il territorio, costruendo i terrazzamenti sui fianchi delle colline e sostenendoli con i muri a secco. Così è ancora oggi, e sulle colline l’autunno poi colora di rosso i pampini delle viti, mente i grappoli d’uva diventano dolci nella carezza del sole. Ma è il paesaggio sopra Settimo che accompagna il viaggiatore. Egli, mentre procede sull’autostrada verso la valle d’Aosta, non può trattenersi dall’osservare la Morena che scende dolcemente verso la Dora! Ne ammira  i fianchi, che  mettono in mostra il susseguirsi dei muri a secco, su cui spicca la fila dei “tupiun”,  costruiti  per sorreggere le “topie”, cioè i pergolati delle viti. Poi, incorniciato dai vigneti, al viaggiatore appare, come una gemma, il battistero di S. Lorenzo, luogo antico di fede e di culto religioso. Esso, là in alto, sembra proteggere il piano, in cui si snoda azzurra la Dora. E sembra stimolare ancora oggi gli uomini alla operosità, alla gioia e alla creatività. Infatti, come vive  la gente di Settimo queste antiche radici culturali e affettive? Oggi le genti di Settimo continuano con amore a ricercare, a coltivare e a curare il territorio, lasciato loro in eredità dagli avi. Sì, ed è proprio in questa zona, dalle radici culturali antiche, che nasce nei cuori degli uomini non solo la fede, ma una ferrea volontà di conservare le cose belle del passato. E sorge in essi un impulso creativo che fa brillare le “perle nascoste”… Ed  ecco i vini di Settimo  Vittone, soprattutto rossi, prodotti dal vitigno Nebbiolo. E gli estesi uliveti, che producono un olio extravergine sano, con la coltivazione della Taggiasca e del Leccino del Corno. E poi… quella cura amorevole e costante dei muri a secco, che con il trascorrere del tempo si sgretolano un poco e hanno bisogno di assistenza. Essi sembrano creature vive, che invecchiano e desiderano attenzione e compagnia. Questo lo so bene io! La mia casa non è costruita “in quei di Settimo”, ma, come scrivevo più sopra, tutte le colline del Canavese hanno memorie storiche di quei vigneti e di quei muretti a secco. Intorno alla mia casa, in questa lunga estate, ho potuto passeggiare presso i muretti a secco e “immaginare”  la loro storia… accanto alle mie piante di ulivo. Esse una quarantina d’anni fa mi giunsero, come germogli, proprio da quei  secolari ulivi del piazzale di S. Lorenzo. Sì, con emozione, ho scoperto quest’anno che, non solo nei bambini, ma anche nell’animo dell’uomo adulto  vibra una grande sensibilità verso la natura e verso ciò che essa richiede. Ho conosciuto due persone speciali di Settimo, dalle quali ho avuto la conferma di quanto ho sempre creduto: ciò che si fa con amore, diventa sorgente di energia e di frutti positivi. Inizio con Adriano Giovanetto, che nella primavera scorsa ha  curato i miei ulivi, improduttivi da alcuni anni. Erano stati mal potati e la loro esistenza appariva stanca e sterile. Adriano, prima di staccare un ramo, osservava attento e silenzioso: io immaginavo un muto colloquio fra lui e l’ulivo… E poi egli procedeva nell’operazione di potatura. Il risultato? … Ora vedo maturare sui rami tante olive, che si fanno ogni giorno più lucide e nere!! Di seguito, voglio esprimere tutta la mia ammirazione per Edoardo Vout. E’ venuto con il figlio Demis a ricostruire un muro che stava crollando. Mi faceva pena quella grossa ferita scura nelle pietre, che si apriva sempre più, e dalla quale scendevano, con la pioggia, altri sassi e altra terra… Ma Edoardo, con un lavoro paziente e preciso, è riuscito a riparare e a ridare la vita a quell’angolo di natura. A mani nude Edoardo prendeva una pietra, la osservava con attenzione e la poneva a incastro con le altre pietre del muro. Spesso padre e figlio si consultavano e poi procedevano taciti, mentre il muro s’innalzava. Non c’erano motori a disturbare la quiete del lavoro: anche le pietre più grosse e pesanti venivano sollevate dai due uomini, con una intesa perfetta. Ho scoperto allora che, quando padre e figlio sono uniti anche nel lavoro, la forza dell’amore diventa ancor più creativa. E l’albero della vita può elevare i suoi rami robusti verso il cielo. Ho domandato, più tardi, a Edoardo se avesse imparato il mestiere da suo padre, ma lui mi disse che, dopo aver fatto il militare, guardandosi intorno  e vivendo proprio a  là a Settimo, a contatto con la montagna e con questo paesaggio, che comunica forza e amore  per la natura, lui stesso ha voluto provare a costruire, a riparare e a creare con la pietra,   “che da sempre, per la sua durezza esprime forza a chi la sa comprendere e … la sa girare dalla parte giusta!” “Così come la vita! “-  ha concluso. Mariella Beata Getto
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