Ivana Peila con Carlomaria Garbellotto e Giuseppe Ferrando
Il presidente Carlo Maria Garbellotto? Grande artefice del tribunale unico Ivrea/Chivasso/Ciriè? Quel Garbellotto? Proprio lui? Ebbene sì! Se ne va... Non nel senso che alza i tacchi. Semplicemente va in pensione con decorrenza primo gennaio. L’eredità, ancora in gran parte da costruire, è sotto gli occhi di tutti. Anzi no, è scritta nero su bianco sul sito del Ministero di Grazia e Giustizia. E secondo questi numeri Ivrea si collocherebbe tra i primi 10 tribunali italiani per efficienza. “Io quest’anno ho fatto solo due settimane di ferie - ci racconta - e come me tanti altri. Il merito dei risultati ottenuti in questi mesi è dei dipendenti: tutti lavorano di più delle 36 ore settimanali previste dal contratto....”. In realtà le cose non vanno proprio come Garbellotto avrebbe desiderato, sognato e voluto. “Sarà anche un bel risultato considerando che sono passati a mala pena tre anni dalla riorganizzazione giudiziaria del 2013 ma - commenta amaro - non si è potuto fare affidamento su nuove assunzioni. I funzionari sono 5 (dovrebbero essere 15) mentre non esistono i direttori amministrativi (dovrebbero essere 2)... Il tribunale di Novara che è più piccolo di noi è messo meglio. Su alcuni fronti siamo al collasso...”. Ricapitolando: gli organici sono inadeguati e la scopertura per quel che riguarda gli impiegati amministrativi sfiorerebbe il 50%. Capita tutto questo ad un anno, quasi esattto, dalla visita a Ivrea del Ministro di Grazia e Giustizia, Andrea Orlando, che, senza farsi pregare troppo, aveva garantito forze fresche. Le classiche problema da “marinaio”. “Non è arrivato nessuno - commenta a denti stretti Garbellotto - E peraltro non è ancora stato pubblicato il bando per la mia sostituzione...”. E Garbellotto è uno che di lavoro ne fa. Per l’esattezza una media di 140 separazioni al mese. “Per una consensuale la media è di un mese e mezzo”, puntualizza. Che è come dire un record, almeno in Italia. Tra i settori messi peggio, quello delle “esecuzioni” e dei Pp3 (Pignoramenti presso terzi). Ne avevamo già scritto in passato ed è sufficiente assistere ad una seduta mattutina, in quell’angusta stanzetta ubicata al terzo piano dell’edificio, per capirlo. Decine di avvocati sudati sia d’inverno che d’estate, cartelline che girano sui tavoli, lacrime dei clienti. Una bolgia infernale, insomma. Colpa della crisi economica, che miete una vittima dietro l’altra, nel 2015 le persone toccate da un provvedimento sono state la bellezza di 1938. Nel 2012 erano appena 944, nel 2013 sono salite a 1544 e nel 2014 hanno raggiunto il massimo di 2830. E sono cittadini disperati per lo sfratto o per i mobili di casa e l’automobile pignorati. Si aggiungono i pignoramenti dei conti correnti e degli stipendi e le esecuzioni immobiliari, con case, capannoni e ville messe all’asta. Tanto per continuare a dare dei numeri, i fascicoli pendenti sugli immobili sono passati dai 411 del 2012 ai 2702 del 2015. I numeri lievitano e i tempi si allungano a non finire, fino alla sfinimento di chi ci finisce in mezzo. Facile che qualcuno dia di matto. Come quella ragazza sotto sfratto di Settimo Torinese che voleva buttarsi giù dal quarto piano, davanti agli occhi del padre. Se non fosse stato per una dipendente si sarebbe lasciata cadere. “Mi uccido - ha gridato davanti allo sguardo dei tanti che nel frattempo si erano radunati nel cortile - non ce la faccio più”.
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