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SAN MAURO. La referente di Babel interviene sulla questione incendio nel condominio dei migranti

Una delle poche certezze di tutta questa triste storia è che i dieci migranti che avrebbero dovuto alloggiare in via Casale, in quell’appartamento non ci torneranno più. Il che, in parte, è “darla vinta” a chi ha follemente appiccato un incendio rischiando di mandare all’altro mondo un condominio. Ma d’altro canto è una soluzione sensata, visto il clima molto più che teso degli ultimi giorni. “Sì, è darla vinta a chi ha minacciato e incendiato il garage - conferma Martina Steinwurzel, referente territoriale della cooperativa Babel, ovvero quella coinvolta nella vicenda -. Ma di fronte al rischio per l’incolumità delle persone, l’ideologia viene meno. Non avremmo potuto lasciarli lì, sarebbe finita male”. Così i migranti torneranno a Settimo, precisamente al Dado, dove chi da un anno chi da uno e mezzo alloggiavano già. Non erano appena sbarcati a Lampedusa: conoscono l’italiano, studiano, lavorano, seguono corsi professionali. San Mauro, per loro, rimarrà solo un brutto ricordo. In molti, però, in questi giorni hanno attribuito parecchie responsabilità dell’accaduto alla cooperativa Babel e alla sua gestione degli arrivi. In particolare, la critica più diffusa è quella relativa alla mancata comunicazione nei confronti delle autorità ma soprattutto dei condomini e del vicinato in generale. “Avvisando prima le persone tutto questo si sarebbe potuto evitare”, dicono in molti. Non è d’accordo, invece, Martina Steinwurzel: “Noi non avvisiamo mai preventivamente i vicini, per più motivi. Primo, non vogliamo legalizzare nessuna forma di discriminazione: in quell’alloggio ci sarebbe potuta arrivare una famiglia, senza che nessuno sentisse il bisogno di essere avvisato prima. I passaggi con i vicini di casa si fanno nei giorni successivi, ma non si può pensare che i vicini debbano dare il ‘permesso’ a noi che abbiamo regolarmente affittato l’alloggio”. Il secondo motivo, invece, è molto più pratico: “So che non sarebbe cambiato nulla se avessimo avvisato. Anzi, saremmo stati accolti con i forconi…”. E invece, come siete stati accolti? “Siamo arrivati alle 9 del mattino, eravamo noi della cooperativa, il nostro ‘gruppo manutenzione’ e sette dei dieci ragazzi. Abbiamo fatto molto in fretta a portare su tutto il materiale. Nel frattempo abbiamo incrociato alcuni vicini mentre andavamo su e giù per le scale: nessun ci ha detto niente. Io sono andata via verso le 13, ma già alle 15 Luca (il responsabile della logistica della cooperativa, ndr) ci ha chiamato dicendo di aver subito minacce telefoniche”. Che tipo di minacce? “Anche minacce di morte”. Da parte di chi? “Da parte di un partente di un condomino”. Come ha reagito il vostro collega? “Lui ha cercato di appianare la situazione, chiedendo tempo per conoscersi e per capire che i nostri ragazzi non avrebbero creato assolutamente alcun problema”. Non è servito, a quanto pare… “No. Qualche ora dopo noi siamo andati in via Casale assieme al sindaco, per parlare con i condomini i quali nel frattempo avevano anche chiamato i carabinieri per chiedere di identificare i nostri ragazzi. Una cosa del genere non era mai successa…” E com’è andato l’incontro con sindaco e residenti? “È andata che io e la mia collega ci siamo ritrovate in una discussione decisamente animata con 4 condomini. La situazione era così tesa che noi ad un certo punto ce ne siamo andate, per evitare situazioni ancora peggiori. Il tutto è stato condito da frasi razziste di un livello inimmaginabile”. Tipo? “Tipo ‘non ci hanno dato fastidio ma non li vogliamo qui’. Oppure ‘non ce ne frega se parlano italiano, da qui se ne devono andare’ e via discorrendo. Concetti che rendevano impossibile un qualsiasi tipo di dialogo”. E poi cos’è successo, quando siete andate via? “Io non ho fatto in tempo ad andare a dormire che sono stata allertata dell’incendio. In quel momento in casa c’erano solo due ragazzi, gli altri stavano lavorando oppure erano in giro. Si sono spaventati moltissimo per l’accaduto”. Li avete poi portati via? “Sì, hanno dormito all’albergo Miramonti di Torino. Non li riporteremo in quell’alloggio, non ce la sentiamo di assumerci un tale rischio. Oggi ha preso fuoco il garage, magari tra un mese tutto l’appartamento…” Quindi tu hai un’idea ben precisa su quanto è successo lo scorso martedì. “Sì, non può certo essere una semplice coincidenza. Sulla responsabilità dell’incendio indagherà la magistratura, ma sicuramente i fatti sono collegati. Bisogna capire se si tratta di un episodio isolato oppure di un qualcosa di organizzato da parte di persone abituate a commettere atti criminali”. Qualcuno dei condomini ha in qualche modo espresso solidarietà per quanto accaduto? “Nessuno. Eppure di fronte a un fatto così grave qualcuno avrebbe dovuto rendersi conto che soffiare troppo sul fuoco rischia di portare troppo in là lo scontro”. Era mai successo qualcosa di simile alla vostra cooperativa? “No, mai. Solitamente i nostri ragazzi si integrano bene, tanto più in realtà come San Mauro in cui anche l’amministrazione comunale (quella passata e quella presente) finora ci ha dato la massima disponibilità”. Nemmeno al Dado era mai capitato? “Una volta ci avevano rotto porta e finestre. Ma appiccare un incendio, mai”. Questo ti fa cambiare idea su San Mauro e sui suoi cittadini? “Bella domanda. Credo di no, perché le persone che ci hanno espresso solidarietà sono tante, tantissime. Amministrazione inclusa. Credo che a San Mauro si possa continuare a lavorare serenamente. Sperando che questa non sia stata solo la miccia…” In che modo si può stemperare il clima prima che la situazione degeneri? “Sicuramente non sovraccaricando troppo il territorio. Noi avevamo concordato con la prefettura il fatto che questi ragazzi sarebbero stati gli ultimi ad arrivare a San Mauro. Anche se 50 persone su 20.000 non saturano il territorio”. Però con i “vostri” dieci si raggiungeva la cifra di 64 migranti. “Il che cambia poco, in proporzione. Ma noi non vogliamo assolutamente esagerare. A Torino, per esempio, non abbiamo più preso appartamenti: lì la situazione è satura. Però teniamo sempre conto dell’emergenza che stiamo vivendo su scala nazionale…” Quindi ne porterete altri 10 a San Mauro, oppure lascerete perdere visto quanto accaduto? “Non saprei, in questo momento, dare una risposta. Se mai qualche anima pia ci offrisse la disponibilità di un appartamento in segno di solidarietà, noi potremmo anche pensare di affittarlo. Sarebbe davvero un bel segnale”. In via Casale, comunque, non ci torneranno. “No, ora come ora non ci sono le condizioni: abbiamo paura per l’incolumità delle persone”.
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