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IVREA. Michelizza: “il diritto di uno non esclude gli altri”

Armando Michelizza è il referente dell’Osservatorio Migranti, istituito nel maggio scorso, che raggruppa associazioni di volontariato e singoli cittadini di Ivrea.

La Consulta Migranti dice, in un comunicato arrivato al nostro giornale, che è compito loro istituire l’Osservatorio. Cosa rispondi?

Non c’è un diritto che escluda gli altri. Io fra l’altro faccio parte della Consulta Immigrati come garante delle persone detenute in carcere.

E’ possibilissimo collaborare. Noi ci siamo mossi,  alcuni come persone appartenenti ad associazioni, altri no, perché siamo molto preoccupati e lo siamo ancora per il fatto che queste persone rischiano di essere cacciate nella clandestinità quando sarà stata respinta la loro domanda di asilo politico, e succede già nel 70 per cento dei casi. Siamo anche preoccupati che le potenzialità di non vengano colte e ci sia accoglienza puramente assistenzialistica.

Hai avuto qualche contatto con la Consulta?

Credo che avremo un confronto. Noi ci siamo mossi, a dire la verità, verso tutto il territorio. Noi abbiamo, se non l’ambizione, diciamo l’obbligo di pensare a tutto il territorio. Infatti abbiamo avuto confronti con i consorzi In.rete di Ivrea e Ciss-ac di Caluso e con piacere abbiamo visto che sono orientati ad assumere in prima persona la responsabilità della gestione dell’accoglienza e dell’integrazione.

Caluso ha già ottenuto la delega di 21 comuni ed In.rete sta lavorando in questa direzione.

Riguardo alle cooperative?

Ci siamo presentati a diverse di loro ed abbiamo affrontato il tema dei lavori di utilità sociale. Ci sono convenzioni per esempio tra il comune di Ivrea e le quattro cooperative qui operanti per cui le persone ospitate possono svolgere attività. Naturalmente hanno bisogno di accompagnamento, coordinamento.

Avete già trovato delle cose che non vanno?

Ad eccetto di qualche realtà c’è stato un grosso ritardo nella fornitura delle ore di italiano che dovevano essere integrative rispetto a Cpia. In secondo luogo è previsto un accompagnamento a conoscenza del territorio, dei servizi, del mercato del lavoro. Questo è sostanzialmente inesistente. Tranne il caso dello Sprar che è il circuito alternativo che non a caso passa attraverso il comune o i comuni.

Come fate a verificare che le cooperative stiano rispettando l’appalto?

Parlando anche con le persone accolte. Ci sono contatti frequenti. Ci sono aderenti all’osservatorio che li portano a giocare a pallone, qualcuno ha organizzato ore di conversazione, si può parlare quando si accompagnano i migranti  a pulire l’area mercatale o ad esempio in questo periodo al quartiere San Giovanni un gruppetto ha riverniciato manufatti, tagliato l’erba.

Tu però hai esperienza in una cooperativa…

Sono socio volontario della Mary Poppins. Dal 1999 al 2008 me ne sono occupato molto. Adesso mi occupo più del carcere.

C’è anche un problema di formazione perché per l’accoglienza occorre la buona volontà ma è anche lavoro educativo. Quello che non è accettabile è che qualcuno senza formazione pensi che questo basti.

Prossime attività?

Vogliamo sollevare tre punti fondamentali a livello regionale.

Primo: che siano gli enti locali, possibilmente consorziati ad essere investiti della responsabilità della gestione, e su questo siamo abbastanza avanti.

il secondo è che una parte della spesa (i 35 euro a migranti) sia utilizzata in attività di formazione. Per la semplice accoglienza alberghiera sono troppi, si tratta di spendere meglio e se alcune cooperative non ne sono in grado che affidino ad altri la parte formativa.

Terzo è che la formazione deve essere il percorso attraverso cui arrivare ad un permesso di soggiorno. Corriamo il rischio di avere il 70 per cento di dinieghi, persone che regaliamo alla clandestinità ed è facile cadere in mani pericolose. Se invece immaginiamo un percorso che poi sfocia in permesso di soggiorno c’è l’incentivo ed il risultato.

In che rapporti siete con consorzi socio-assistenziali?

E’ un rapporto di dialogo e di collaborazione. I due presidenti sono sempre stati sulla stessa lunghezza d’onda.

Il razzismo c’è ancora?

C’è il fastidio del diverso, la tendenza a pensare che i nostri problemi li generano gli altri. Ma proprio per combattere la xenofobia bisogna far toccare con mano che queste presenze invece di essere fastidiose, come rischiano di essere quando li trovi davanti al parcheggio o al supermercato, vuol dire portarle a fare attività di pubblica utilità, allora possono esser percepite come risorse. Arricchire persone di competenze è un modo per aiutare loro e anche noi. I nostri paesi sono sempre più vuoti così come i nostri campi. E se ci sono i profughi che hanno già un certo livello culturale bisogna metterli nelle condizioni di affrontare percorsi scolastici o professionali.

Ed è anche il modo per aiutare il loro paese. Come è stato anche per gli italiani, per i piemontesi. I meccanismi sono gli stessi, si ripetono.

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