Tutto d'un fiato aveva scoperto d'esser stato tradito e mollato. "Amore mio..", "i tuoi baci..." e tutte quelle frasi sdolcinate, trovate nel 2014 in alcune lettere nascoste nella casa coniugale, indirizzate alla moglie, lo avevano travolto come un fiume in piena. G.Z., non c'aveva visto più. Sbattuto fuori dall'abitazione, era partito in picchiata alla ricerca della donna, P.G., in lungo e in largo, per San Francesco al Campo. Dai figli, dalle amiche di lei. Pochi giorni di fuoco durante i quale aveva finito per picchiarla ed insultarla. Denunciato e finito alla sbarra, presso il Tribunale di Ivrea, G. Z. l'altra settimana è stato condannato alla pena (sospesa con condizionale) di 2 mesi di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni nei confronti della donna, costituita parte civile, con una provvisionale di 1500 euro, per i reati di ingiurie, minacce e percosse. Il giudice Ludovico Morello ha disposto però le revoca della misura cautelare, che lo obbligava a tenersi lontano dalla ex, e lo ha assolto dall'accusa di maltrattamenti, caduta come un castello di carte di fronte all'incisiva arringa dell'avvocato difensore Bartolomeo Petitti del Foro di Torino. La condanna si spiega anche per il fatto che, poco prima della discussione, il Pubblico Ministero Ombretta Russo, nel chiedere la condanna ad 1 anno e 4 mesi (con la concessione delle attenuanti generiche poiché G.Z. è incensurato), abbia prodotto le querele presentate da P.G. "Non vorrei fosse preso come un segno di debolezza da parte dell'accusa..." ha osservato il magistrato, ben sapendo che, per giurisprudenza, se i maltrattamenti sono procedibili d'ufficio, le percosse e le ingiurie sono invece procedibili solo su querela di parte. "Spintoni, schiaffi sulle gambe, le mani al collo, le sputava addosso, cercava pretesti per litigare, la seguiva per il paese mentre faceva le commissioni e la fissava. Una situazione che aveva creato ansia, mal di vivere nella mia assistita e lo so perché ero io a riceverne le telefonate. Uno stillicidio che era andato peggiorando" ha cercato di sostenere l'avvocato di parte civile, protagonista anche di un rapido battibecco, in aula, con l'imputato. Secondo la parte civile G.Z., nei tempi precedenti la separazione, non lavorava, non aveva orari, non si faceva vedere a casa. Non era, insomma, un coniuge modello. "Accuse che non hanno senso – ha confutato Petitti -. Era lui la forza lavoratrice. In trent'anni di matrimonio non le ha mai messo le mani addosso. Tutto nasce il 24 ottobre, con la scoperta di quelle lettere e finisce il 5 novembre quando riesce a procurarsi le chiavi per riprendersi dalla cassaforte di casa i suoi averi. Capisco le elargizioni a favore del sesso debole e che sia giusto tutelare le donne ma lui ha ereditato una casa dal padre ed oggi è costretto a vivere in maniera barbara, in un tugurio".
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