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IVREA. Non c'è pace per Claudio Alberto

IVREA. Non c'è pace per Claudio Alberto

Tribunale

L'assalto al cantiere della Torino-Lione del 14 maggio 2013 fu caratterizzato da "fatti anche illegali" ma "il terrorismo è un'altra cosa". E' la tesi degli avvocati della difesa dei quattro attivisti No Tav imputati nel processo d'appello in corso a Torino con l'accusa di attentato con finalità terroristiche. Per l’eporediese Claudio Alberto, Niccolò Blasi, Mattia Zanotti e Chiara Zenobi la Procura generale ha chiesto nove anni e mezzo contro i tre e mezzo per reati minori inflitti dalla sentenza di primo grado, che li ha assolti dall'accusa di terrorismo. "Tre anni e mezzo sono una pena che può essere mantenuta", ha detto in aula l'avvocato Claudio Novaro, leader del collegio di difensori. "La contestazione del reato di terrorismo - ha aggiunto - è una sorta di chiodo fisso che l'autorità giudiziaria ha messo in campo nella macchina per reprimere fatti, anche illegali non lo neghiamo, che sono accaduti. Terrorismo sono i fatti francesi del Bataclan o quelli precedenti dell'attentato di Londra: nulla a che fare con le vicende della Val Susa, che è la storia di un conflitto, a volte anche aspro, e di un contrasto sociale". Novaro, in particolare, contesta la ricostruzione fatta dal pg Marcello Maddalena: "E' completamente sbagliata - ha argomentato - soprattutto quando sostiene che questo fatto è terrorismo perché è stato un attacco alla democrazia". In quell'episodio, invece, "non ci sono stati né gravi attentati alla vita e all'incolumità fisica di persone né distruzioni di vasta portata o di strutture governative: si è solo danneggiato un compressore". La decisione dei giudici della Corte d'assise d'appello, presieduta da Fabrizio Pasi, è attesa nella giornata di oggi. A loro toccherà valutare non tanto il fatto in sé, visto che tutti i quattro imputati avevano ammesso, con dichiarazioni spontanee nel corso del dibattimento di primo grado, di avere partecipato attivamente all'assalto e di avere provocato il danneggiamento del compressore, quanto se questo si inserisca in una strategia sovversiva più ampia come per le organizzazioni terroristiche. E, se questa esiste, quanto abbia danneggiato il Paese. Anche su questo punto la difesa ha le idee chiare: "Pensare che la classe dirigente italiana - ha concluso Novaro - sia così sbrindellata da farsi costringere ad abbandonare un'opera a causa di un'azione durata tre minuti, e in cui è stato distrutto un compressore, è un'assurdità". L’accusa Secondo il Procuratore generale Marcello Maddalena, che ha chiesto che sia riconosciuto agli imputati il dolo diretto e non quello eventuale, confermare il verdetto di primo grado "sarebbe fare loro un torto intellettuale: dare pene da poco sarebbe come non prenderli sul serio". Per il pg, forse al suo ultimo processo prima della pensione, i quattro "sono persone con un'identità politica, un comitato politico, un rifiuto dei metodi in cui ci si riconosce in questa società". Inoltre, "pare che non abbiano alcuna intenzione di mettere la parola fine a questa esperienza". Una condanna a pene pesanti è quindi necessaria, secondo Maddalena, "in relazione alla gravità dei fatti. In uno Stato di diritto - ha sottolineato - non può essere che la violenza di qualcuno possa impedire alle legittime istituzioni di adempiere al loro scopo. La possibilità di indurre i poteri pubblici a compiere una determinata azione o impedirla costituisce una minaccia alla democrazia". Nella sua arringa Maddalena ha però riconosciuto che si tratta di un processo "in salita" per l'accusa, dopo le due sentenze della Corte di Cassazione che hanno riconosciuto l'insussistenza dell'accusa di terrorismo. E, in un passaggio della requisitoria, ha anche citato il premier Renzi: "Lo stesso presidente del Consiglio, che prima riteneva così inutile l'opera, come mai una volta passato da aspirante segretario del partito maggiore d'Italia a primo ministro non abbandona l'opera? Forse perché ha cambiato idea o, come penso io, ha capito che il danno grave per il Paese era la libera determinazione dello stato democratico, ovvero che rinunciare avrebbe significato mettere a rischio il principio di democrazia?".
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