“Sto cercando di ricostruirmi una vita. Lo so è dura buttarsi alle spalle il passato. Io ci sono riuscito”. È un uomo distrutto Luciano Bettini, il padre del giovane che ha sparato alla saracinesca della Caffetteria Torino. “In questa storia, vi prego, non esagerate”. Lo ripete più volte in lacrime tenendosi la testa tra le mani mentre è seduto in cucina. Dopo il pianto invita a seguirlo in balcone. E nel momento in cui accende la sigaretta e come se aprisse la parentesi sulla sua vita. Ha lo sguardo perso nel vuoto: “Ho 60 anni e da trenta lavoro come coordinatore presso la Cooperativa Frassati. Ho pagato il mio conto con la giustizia ed ora, quando credevo che tutto fosse solo un brutto ricordo, la vita mi presenta di nuovo il conto. Credevo che gli errori miei fossero serviti a mio figlio ed invece no. Evidentemente ho sbagliato anche io. Avrei dovuto accorgermi che c'era qualcosa che non andava. Magari non ho capito mio figlio. In questi giorni ho passato tre notti su e giù da Ivrea a trovarlo in carcere (ora è ai domiciliari) e ogni volta mi vedevo di fronte mio padre. E' stato come risvegliarsi da un brutto sogno”. “Comunque come ce l'ho fatta io, ce la farà anche mio figlio. E' stata una bravata. Per questo sono convinto che da questa storia ne uscirà pulito. Ne sono certo”. Luciano Bettini è un ex militante dei “Nuclei comunisti territoriali" (Nct), l'organizzazione terroristica vicina a "Prima linea" che tra il 1978 ed il 1980, nel capoluogo piemontese, si rese responsabile di una serie di attentati. Il più grave fu l'assalto ad un'azienda della Fiat, la "Framtek" in via Milano a Settimo Torinese che si concluse con l'uccisione di un sorvegliante, Carlo Ala, di 50 anni. Era il 31 gennaio del 1980. Quattro giovani, armati di pistola ed a viso scoperto, approfittando dell'imminente ingresso degli operai dell'ultimo turno, fecero irruzione all'interno dello stabilimento. Per quell'attentato Luciano Bettini venne condannato a nove anni. La pena più alta è stata comminata a Giancarlo Santilli, ritenuto responsabile oltre che di organizzazione a banda armata, anche di concorso morale nell'omicidio di Carlo Ala. Ventiquattro anni vennero inflitti a Federico Alfieri, anche lui membro del commando, recentemente dissociatosi, e nove anni a Danila Mihalic, che sparò i colpi che uccisero il sorvegliante.
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