Cerca

SAN GIUSTO. Abbandona il figlio e non lo riconosce, nemmeno quando muore la madre. Alla sbarra

SAN GIUSTO. Abbandona il figlio e non lo riconosce, nemmeno quando muore la madre. Alla sbarra

 

Padri che non voglio fare i padri e abbandono i piccoli quando sono ancora in fasce. C. L., l'altra settimana, presso il Tribunale di Ivrea, è stato condannato alle pena di 4 mesi di reclusione e 400 euro di multa, per mancata corresponsione degli alimenti nei confronti del piccolo, che oggi ha 14 anni anni.

Ma non in tutto questo tempo non gli ha fatto mancare soltanto il sostentamento economico. Lo ha privato dell'affetto, di una figura paterna, di un punto di riferimento. Non aveva nemmeno voluto dargli il proprio cognome, si era rifiutato si riconoscerlo. Persino dopo la morte prematura della madre, avvenuta nel 2014. Il giovane è rimasto orfano, affidato, da due anni, alle cure della premurosa zia. E' una triste storia quella che è stata raccontata in aula, dai testimoni, lunedì scorso A Palazzo Giusiana. Tanto che il Pm Roberta Bianco aveva chiesto la condanna a sei mesi di reclusione.

"Ciriaco L. aveva frequentato mia sorella – ha riferito, proprio quella zia premurosa, interrogata di fronte al giudice Claudia Maria Colangelo -. Quando è rimasta incinta lui l'aveva accompagnata alle visite, lei era finita anche in depressione. Ha avuto il bambino nel febbraio 2002 e da allora lui non si è fatto più vedere. Mia sorella poi si è ammalata, ed è mancata. Oggi penso io a tutto: lavoro, sono operaia, ma mi prendo cura del bambino, di tutte le sue esigenze, e sono felice di farlo".

Del C. non s'è saputo più nulla. "So che si è risposato, ha avuto un altro bambino, ma non l'ho più visto – ha raccontato ancora la zia. Addirittura, mentre mia sorella era in depressione, lui distribuiva le partecipazioni per le proprie nozze. Lei si era stupita: 'ma io non mi sposo...' ci diceva. E infatti non era lei la sposa".

Una sentenza del Tribunale dei minorenni ha poi confermato la paternità, in base all'analisi del dna. La difesa, affidata al noto avvocato Claudio D'Alessandro, ha provato a far leva sugli aspetti legali, più che sul dramma. "Posto che non è una sfida di simpatia – ha esordito D'Alessandro -, va ricordato che il vincolo di assistenza è un vincolo coniugale. Tra conviventi non esistono certi diritti e certi doveri. Quindi il mio assistito se n'era andato, non simpaticamente ma legittimamente. Manca la prova che fosse stato informato circa l'obbligo di far arrivare al figlio 350 euro al mese".

Una vicenda delicata, che non ha potuto far altro che toccare il cuore del giudice, pur concedendo le attenuanti del caso.

 
Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori