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26 Dicembre 2025 - 22:18
La notizia arriva nel pomeriggio di venerdì 26 dicembre 2025: Maria Sole Agnelli è morta a cento anni, nella sua casa di campagna a Torrimpietra, alle porte di Roma. Il cancello della tenuta resta chiuso, immobile. Dentro, il silenzio di una famiglia in lutto. Fuori, nel giro di poche ore, si apre un altro fronte: quello dei social. Ed è lì che il cordoglio viene travolto dal fango.
Sotto i post che annunciano la scomparsa della sorella di Gianni e Umberto Agnelli, compaiono commenti che non lasciano spazio a interpretazioni: “famiglia ladrona”, “parassiti”, “che anche figli e nipoti facciano la stessa fine”. Non è critica, non è satira. È odio esplicito, augurio di morte, disumanizzazione. Un repertorio che trasforma la morte di una centenaria nell’ennesima prova generale di quanto il dibattito pubblico online in Italia sia ormai privo di freni.
Maria Sole Agnelli, nata a Villar Perosa il 9 agosto 1925, ha attraversato un secolo di storia italiana mantenendo un profilo lontano dalle ribalte. Imprenditrice agricola, allevatrice di cavalli, amministratrice locale, è stata sindaca di Campello sul Clitunno dal 1960 al 1970, anni in cui il suo impegno si è tradotto in opere pubbliche concrete: scuole, strade, fognature, illuminazione, servizi sanitari, aree per lo sviluppo industriale. Una politica di territorio, documentata negli atti, che poco ha a che vedere con l’immaginario caricaturale rimbalzato online.
Dal 2004 al 2018 ha presieduto la Fondazione Agnelli, orientandone l’attività su scuola, ricerca ed educazione. Nel giorno della sua morte, l’ente l’ha ricordata per la “dedizione e la consapevolezza dell’importanza di garantire ai giovani le migliori opportunità educative”. Un profilo coerente, misurato, privo di proclami.
Accanto all’impegno civile, c’è la passione sportiva: l’ippica. La scuderia di Maria Sole Agnelli è stata tra le più rilevanti del dopoguerra e il cavallo Woodland ha legato il suo nome all’argento olimpico nell’equitazione individuale ai Giochi di Monaco 1972. Un risultato che racconta un’idea di competizione fondata su lavoro e selezione, non su rendita simbolica.
Sul piano personale, due matrimoni e cinque figli: quattro dal primo matrimonio con Ranieri Campello della Spina, uno dal secondo con Pio Teodorani Fabbri. Anche la sua vecchiaia non è stata immune da episodi che ne hanno mostrato la fragilità: nel gennaio 2025, la villa di Torrimpietra fu assaltata da una banda armata. Vigilanza immobilizzata, cassaforte svuotata, gioielli e orologi rubati. La contessa, allora 99enne, dormiva. Un fatto rimasto senza responsabili per mesi, passato quasi sotto silenzio.
Eppure, nel racconto social di queste ore, nulla di tutto questo conta. Conta il cognome. Conta l’appartenenza. Conta l’odio che si riversa indistinto, senza distinzione tra ruoli, responsabilità, biografie. Un odio che pesca anche nell’attualità del potere economico della famiglia: il ramo di Maria Sole Agnelli è stato per anni il secondo azionista della Giovanni Agnelli B.V., la holding olandese che controlla Exor. Circa l’11,2% delle quote, dietro al ramo Elkann. Numeri che, negli ultimi esercizi, hanno significato decine di milioni di euro di dividendi. Dati pubblici, legittimi da discutere. Ma che diventano benzina quando vengono ridotti a slogan.
Dopo l’annuncio della morte, sono arrivati anche i messaggi ufficiali. La Juventus ha parlato di “una figura di straordinaria eleganza e testimone di un secolo di storia bianconera”. Il Comune di Campello sul Clitunno l’ha ricordata come “grande benefattrice del territorio”. Calcio e amministrazione locale: due mondi diversi che raccontano la doppia dimensione di una donna rimasta sempre ai margini del clamore.

Maria Sole Agnelli
Sui social, invece, il registro è stato un altro. Commenti violenti, auguri di morte estesi ai discendenti, linguaggio da gogna. Un salto di qualità che non è episodico. I dati Agcom parlano chiaro: oltre un italiano su due si imbatte online in contenuti d’odio o disinformazione; l’80% si dice preoccupato; più del 64% ha competenze digitali e algoritmiche nulle o scarse. Tradotto: si condivide prima di capire, si colpisce prima di pensare.
Il punto non è assolvere una dinastia industriale né riscriverne la storia in chiave edificante. Il punto è un confine che continuiamo a fingere di non vedere. La critica riguarda sistemi, scelte, modelli economici. L’odio colpisce persone, famiglie, lutti. Quando si augura la morte a figli e nipoti, non si sta contestando un potere: lo si sta sostituendo con un impulso distruttivo.
Ridurre Maria Sole Agnelli alla formula “famiglia ladrona” significa rinunciare alla complessità. Dieci anni da sindaca, quattordici alla guida di una fondazione culturale, una carriera sportiva riconosciuta, una presenza costante ma defilata nella vita pubblica. È una biografia che non assolve, ma neppure si presta alla caricatura. Ed è forse proprio questo che infastidisce l’algoritmo: la mancanza di semplificazione.
La valanga d’odio seguita alla sua morte non dice molto degli Agnelli. Dice molto del Paese. Della frustrazione che cerca bersagli, della sfiducia verso le élite, della scorciatoia emotiva che trasforma ogni evento in un regolamento di conti. Sta qui la vera notizia. E sta qui la domanda che resta aperta: se davanti a un lutto, anche quello dei potenti, siamo ancora capaci di distinguere tra giudizio e disumanità. O se abbiamo già deciso di non farlo più.
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