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Cronaca

Dal litigio in discoteca al sequestro: la spedizione punitiva contro un 17enne

Una rissa tra adolescenti degenera in un sequestro pianificato, con sette persone coinvolte

Polizia

Polizia (foto di repertorio)

Un litigio all’uscita di una discoteca, una contesa sentimentale tra ragazzi e poi una catena di decisioni che, secondo la Procura, nulla ha a che fare con l’impulsività giovanile. A Torino, una lite tra due adolescenti si è trasformata in un sequestro di persona con violenze e minacce, orchestrato — questa è l’accusa — da adulti e regolato da codici di dominio e intimidazione. Al centro dell’inchiesta c’è Gianluca Moscatiello, 49 anni, con precedenti pesanti alle spalle, oggi indicato come il mandante della spedizione punitiva contro un diciassettenne “colpevole” di aver picchiato suo figlio.

Tutto inizia alle quattro del mattino dell’8 marzo, davanti alla discoteca Bamboo di corso Moncalieri. Due ragazzi litigano: uno ha 19 anni ed è il figlio di Moscatiello, l’altro 17. In mezzo, una ragazza: ex del primo, nuova relazione del secondo. Dalle parole si passa ai pugni. Il diciannovenne finisce al pronto soccorso dell’ospedale Maria Vittoria con 21 giorni di prognosi, tra contusioni, trauma cranico e una spalla lussata. Parte la denuncia e la Procura dei minori apre un fascicolo.

Secondo gli inquirenti, è a quel punto che il racconto del figlio diventa miccia. Moscatiello non si limita ad attendere l’esito giudiziario e decide di intervenire. Contatta Alin Cirpaci e raggiunge una festa di battesimo a Ciriè, dove incontra anche Ovidiu Cirpaci e il cugino Pietro Tagliaferri, 54 anni. I messaggi acquisiti agli atti raccontano la pianificazione. Ci va una tiratina d’orecchie, almeno la prossima volta sanno tutti che, se lo toccano, poi devono parlare con noi, scrive Moscatiello. La risposta è altrettanto esplicita: Oggi risolviamo, troviamoci e mandiamoli all’ospedale.

La sera successiva, il 9 marzo, la trappola scatta in via Maddalene, nel quartiere Barriera di Milano. È il figlio di Moscatiello a chiamare il diciassettenne, proponendo un incontro “chiarificatore”. Ma quando il ragazzo arriva, la scena è già pronta. Adesso ti faccio vedere io chi hai picchiato, gli viene detto. Da una Mercedes, una Fiat 500 e una Panda scendono, secondo le indagini, sette persone. Partono calci e pugni. Il minorenne perde conoscenza. Per trascinarlo fino all’auto, gli aggressori usano un lenzuolo. Viene chiuso nel bagagliaio di un suv, mentre qualcuno urla: Hai picchiato la persona sbagliata, è il figlio del boss.

Nel verbale, il ragazzo racconta il sequestro e le minacce. Sono svenuto. Quando mi sono svegliato uno mi ha detto che non aveva niente contro di me, ma che era stato pagato per farlo. Poi l’aut aut: Chiedi scusa. Se ti perdona, ti lasciamo andare. Dopo una telefonata arriva la liberazione, ma accompagnata da un ultimo avvertimento. Ti ha perdonato. Non ci guardare in faccia, accovacciati. E non andare dalla polizia, altrimenti veniamo a cercare te e la tua famiglia.

Sono quasi le 22 quando il diciassettenne viene lasciato in via Germagnano, sotto shock, senza una scarpa. Cammina per strada finché le telecamere di un distributore in corso Vercelli lo riprendono. Poco dopo lo raggiungono i genitori, che lo portano in ospedale e poi in questura per sporgere denuncia.

La Squadra mobile di Torino, coordinata dalla pm Chiara Maina, chiude il cerchio in nove mesi di indagini: messaggi, tabulati telefonici, filmati dei residenti di via Maddalene. Il gip Antonio Serra Cassano dispone l’arresto di quattro persone: Moscatiello, ritenuto il mandante, Tagliaferri e i fratelli Alin e Ovidiu Cirpaci, romeni di 42 e 38 anni. Le accuse sono pesanti: sequestro di persona, minacce e violenza privata. È indagato anche il figlio diciannovenne di Moscatiello, al momento a piede libero ma con divieto di avvicinamento alla vittima. In uno dei messaggi, uno dei Cirpaci arriva a vantarsi: Sono il re dei guerrieri, non ho paura di polizia e di nessuno, dicendosi pronto a colpire ancora il ragazzo e i suoi familiari.

Sul fondo c’è la figura di Moscatiello. Ex affiliato al clan Genovese, già condannato per associazione a delinquere, ricettazione, riciclaggio e omicidio, dopo la detenzione si era trasferito a Torino, costruendo una catena di bar. Attorno a lui una scia di episodi inquietanti: colpi d’arma da fuoco contro vetrine, incendi e danneggiamenti. Tra questi, il rogo del 23 marzo alla sua “Villa King” di Orbassano, una residenza da circa 850mila euro, con piscina e idromassaggio. Sei inneschi e materiale infiammabile sparsi nella proprietà. Per la Procura, coordinata dalla pm Eleonora Sciorella, Moscatiello avrebbe ordinato l’incendio, incaricando due persone, tra cui lo stesso Tagliaferri. Anche questa ipotesi è ora al vaglio del tribunale.

C’è infine un terzo fronte investigativo: una presunta evasione fiscale superiore ai 5 milioni di euro, che coinvolgerebbe dieci persone e che gli investigatori ritengono intrecciata agli affari costruiti sul territorio.

Dalle carte emerge un linguaggio che non lascia spazio a equivoci. Tiratina d’orecchie, mandiamoli all’ospedale, parlano con noi. Parole che rimandano a regole non scritte, a una gerarchia imposta con la forza, dove una lite tra ragazzi diventa un affronto da punire. È questa la frattura che la vicenda apre nella città: una violenza pianificata, non improvvisa, che ha avuto come bersaglio un minorenne e che ha trascinato con sé la sua famiglia. Gli indagati restano presunti innocenti fino a sentenza definitiva, ma il quadro delineato dall’inchiesta racconta molto più di un regolamento di conti: racconta quanto certi codici criminali riescano ancora a infiltrarsi nella quotidianità, fino a trasformare una notte davanti a una discoteca in un sequestro di persona.

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