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Cronaca
09 Dicembre 2025 - 14:40
Vittorio Feltri condannato a Torino: frasi shock sui musulmani alla Zanzara
Una sentenza destinata a fare rumore attraversa oggi il panorama mediatico italiano. A Torino, il tribunale civile ha riconosciuto il carattere discriminatorio di una serie di frasi pronunciate da Vittorio Feltri durante una puntata del 2024 de La Zanzara, condannandolo a risarcire 20 mila euro all’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI). Non una censura generica o un richiamo deontologico: un verdetto formale che qualifica quelle parole come molestia discriminatoria nei confronti dei musulmani. Una scelta che segna un punto cruciale nel rapporto tra libertà di espressione, responsabilità pubblica e tutela delle minoranze.
Secondo quanto emerge dagli atti, Feltri — nel corso di un intervento sulla morte di un giovane egiziano — avrebbe fatto riferimento ai musulmani chiamandoli una «razza inferiore» e aggiungendo: «Gli sparerei in bocca». Non un’opinione aspra o una provocazione verbale: il giudice ha ritenuto che quelle frasi costituiscano un attacco diretto a un intero gruppo religioso, favorendo un clima di ostilità e disprezzo. La loro diffusione in una trasmissione ad ampia audience, inoltre, ne amplifica — secondo il tribunale — la portata lesiva.
Il procedimento, avviato da ASGI insieme ad altre realtà impegnate contro le discriminazioni, ha portato il giudice Ludovico Sburlati a ordinare anche la pubblicazione della sentenza su un quotidiano nazionale, misura prevista dalla normativa quando la lesione coinvolge diritti collettivi. La difesa di Feltri aveva rivendicato il contesto provocatorio del programma, la natura ironica del suo intervento e l’assenza di intenzionalità discriminatoria. Ma per il tribunale, la cornice satirica non basta a trasformare in legittima espressione frasi che incitano alla violenza o che degradano un’intera comunità.
La vicenda non nasce nel vuoto. Già all’indomani delle dichiarazioni, l’Ordine dei Giornalisti aveva sospeso Feltri per quattro mesi, rilevando una violazione dei principi cardine della professione, mentre AGCOM aveva inflitto una multa di 150 mila euro alla trasmissione per mancato rispetto delle norme sull’hate speech. In questo quadro, la sentenza di oggi consolida una linea interpretativa che negli ultimi anni si sta rafforzando: le parole pronunciate da figure pubbliche non sono mai neutre, e il passaggio dalla critica alla discriminazione può essere individuato e sanzionato.

Vittorio Feltri
Resta centrale la questione politica e culturale che sottende l’intera vicenda. Da un lato, operatori del diritto e associazioni antidiscriminazione rivendicano la necessità di arginare un linguaggio che può alimentare violenza, isolando chi già vive in condizioni di vulnerabilità sociale. Dall’altro, nel dibattito pubblico cresce la paura di restringere eccessivamente lo spazio della libertà di opinione, soprattutto quando si tratta di frasi pronunciate in contesti mediatici noti per toni provocatori.
La sentenza di Torino si colloca esattamente su questa linea di frizione. Riconosce che la libertà di parola non può spingersi fino all'annientamento della dignità altrui, e che il confine non è stabilito da chi parla, ma dagli effetti concreti che le parole producono su una comunità intera. In definitiva, secondo il giudice, non si tratta di limitare la critica, ma di impedire che essa si trasformi in un attacco generalizzato a una categoria di persone per la loro identità religiosa.
Le conseguenze finanziarie per Feltri sono solo una parte del quadro. La portata simbolica del verdetto è più ampia: chi detiene un microfono, una penna o una piattaforma pubblica deve essere consapevole che il linguaggio non è un terreno neutrale e che gli eccessi non rientrano sempre nello scudo della provocazione. E in una fase storica in cui il clima sociale è segnato da polarizzazioni profonde, proprio le figure con maggiore visibilità sono chiamate a una responsabilità superiore.
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