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Cronaca

Condannato a due anni il bidello accusato di violenza sessuale su due studentesse: una sentenza che scuote la scuola

Pena sospesa, obbligo di corsi rieducativi e possibile appello: il caso resta aperto mentre cresce il dibattito sulla sicurezza negli istituti scolastici

Condannato a due anni il bidello

Condannato a due anni il bidello accusato di violenza sessuale su due studentesse: una sentenza che scuote la scuola

La vicenda che negli ultimi mesi ha scosso una scuola superiore dell’area torinese non si chiude con la sentenza arrivata nei giorni scorsi. Anzi, sembra aprire una fase nuova e più complessa, in cui giustizia, responsabilità istituzionali e fiducia delle famiglie si intrecciano in un equilibrio ancora fragile. Al centro, un collaboratore scolastico quarantenne, condannato in primo grado a due anni di reclusione per violenza sessuale nei confronti di due studentesse minorenni. Una pena sospesa, alleggerita dal rito abbreviato, ma accompagnata dall’obbligo di frequentare percorsi rieducativi. Una decisione che, se da un lato stabilisce un punto, dall’altro lascia aperti interrogativi difficili da ignorare.

La sentenza è stata pronunciata dalla giudice Gloria Biale, che ha ricostruito i fatti sulla base degli atti dell’indagine. L’imputato aveva scelto il rito abbreviato, una modalità che comporta lo sconto automatico di un terzo della pena e consente di evitare il dibattimento. La magistrata, nelle motivazioni illustrate in aula, ha ritenuto credibili e coerenti le dichiarazioni delle due giovani, rese mesi fa in incidente probatorio, una procedura che garantisce la qualità della testimonianza e tutela le persone vulnerabili, evitando loro di affrontare nuovamente l’impatto emotivo di un processo.

Gli episodi contestati risalgono al 2023 e si sarebbero consumati all’interno della scuola, negli spazi di uso comune frequentati quotidianamente da studenti e personale. Una delle ragazze ha riferito di aver ricevuto un bacio sulla guancia senza consenso, gesto seguito da un tentativo di bacio sulle labbra. L’altra ha parlato di una carezza sul viso, un contatto che l’ha fatta scappare spaventata. Entrambe sono state assistite dagli avvocati Manuela Gugliuzza e Pasquale Ventura, che hanno sostenuto la necessità di riconoscere pienamente la vulnerabilità delle giovani e la gravità della violazione subita.

Le indagini coordinate dalla pubblico ministero Valeria Sottosanti hanno portato alla richiesta di una pena ben più severa: quattro anni di reclusione. L’accusa, infatti, aveva sottolineato la natura dei fatti e la particolare delicatezza del contesto: un ambiente scolastico, un luogo che per definizione dovrebbe essere sicuro. La decisione finale è risultata però meno pesante, anche in virtù dello sconto previsto dal rito abbreviato. Resta comunque l’obbligo imposto dalla giudice di seguire percorsi rieducativi, finalizzati alla consapevolezza dei confini relazionali e al reinserimento nel contesto lavorativo in condizioni di maggiore controllo.

Il caso non ha avuto ripercussioni solo nelle aule di giustizia. Dopo le prime denunce, il collaboratore scolastico era stato sospeso dall’Ufficio scolastico regionale. Una misura cautelare che aveva rassicurato in parte la comunità, preoccupata per l’incolumità degli studenti. Tuttavia, il successivo rientro in servizio aveva generato polemiche accesissime, con proteste da parte di famiglie e docenti, costringendo l’istituzione a intervenire nuovamente. Il bidello era stato quindi trasferito, in un clima di tensione che ancora oggi non si è completamente dissolto.

Al momento, la sentenza non è definitiva. L’uomo potrà ricorrere in Corte d’appello, e solo i successivi gradi di giudizio stabiliranno in via definitiva la sua responsabilità penale. Una possibilità che crea un ulteriore livello di incertezza, ma che rientra pienamente nel sistema di garanzie previsto dalla giustizia italiana.

Resta però il significato sociale della decisione. Le scuole, negli ultimi anni, sono diventate uno dei fronti più delicati nella tutela dei minori. Episodi come questo minano la fiducia delle famiglie e costringono le istituzioni scolastiche a interrogarsi sulle proprie procedure, sui controlli e sulle modalità con cui affrontare le segnalazioni interne. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: nello spazio educativo, ogni gesto che viola i confini relazionali degli studenti è un fatto grave, persino quando non sfocia in conseguenze fisiche più evidenti.

Ora si apre una fase complessa, in cui la scuola dovrà ricostruire un clima sereno e i giudici dovranno valutare eventuali nuove prove o argomentazioni in appello. I genitori, intanto, restano in attesa di risposte più ampie: non solo sulla vicenda giudiziaria, ma sul modo in cui le istituzioni sapranno evitare che situazioni simili possano ripetersi.

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