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Mafie all’assalto delle Olimpiadi e della ricostruzione: 18 imprese bloccate dal Viminale prima che fosse troppo tardi

Volevano entrare nei cantieri di Milano-Cortina 2026 e nella ricostruzione post-sisma, ma i tentativi d’infiltrazione sono stati fermati dalla struttura per la prevenzione antimafia del Ministero dell’Interno. Dalle interdittive alle misure di vigilanza collaborativa, il prefetto Paolo Canaparo rafforza la barriera dello Stato contro l’economia criminale. In aumento gli interventi: già 40 nei primi dieci mesi del 2025

Mafie all’assalto delle Olimpiadi e della ricostruzione: 18 imprese bloccate dal Viminale prima che fosse troppo tardi

Mafie all’assalto delle Olimpiadi e della ricostruzione: 18 imprese bloccate dal Viminale prima che fosse troppo tardi

Volevano mettere le mani sull’Italia delle grandi opere: dalle infrastrutture olimpiche ai cantieri della ricostruzione post-sisma. Ma questa volta lo Stato ha reagito in tempo — e con forza — impedendo che la mafia trascinasse nel suo vortice anche le ambizioni più visibili del Paese. Nella tela delle indagini e dei controlli condotti dalla struttura per la prevenzione antimafia del ministero dell’Interno, sono emersi i tentativi — numerosi, organizzati, spregiudicati — di afferrare la “torta” dei grandi appalti, quel segmento dell’economia pubblica che, più di altri, rappresenta la leva ideale per il riciclaggio, l’influenza e la penetrazione criminale. In tutto il territorio nazionale, da Nord a Sud, sono scattate 18 misure cautelari (interdittive e di prevenzione collaborativa) nei confronti di aziende che avrebbero voluto inserirsi nei cantieri delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026 e nei progetti di ricostruzione nelle aree del Centro Italia colpite dal sisma.

L’operazione non è un episodio isolato, ma parte di un disegno più ampio: trattenere con criteri severi l’accesso ai grandi flussi finanziari che accompagnano le opere pubbliche, rendendo difficile alle mafie muoversi come mine sotto la superficie, pronte a emergere nei momenti giusti per condizionare amministratori, subappaltatori e imprenditori “puliti”. Le procedure antimafia — in particolare l’iscrizione all’Anagrafe Antimafia degli Esecutori — diventano così strumenti efficaci di schermatura preventiva, capaci di intercettare il pericolo prima che si materializzi in gare o cantieri.

DIA

Del totale delle misure disposte, 16 sono interdittive — che impediscono alle aziende di stipulare contratti con la pubblica amministrazione — mentre 2 sono provvedimenti di prevenzione collaborativa della durata di un anno. Questi ultimi riguardano imprese che, secondo gli accertamenti, non risultavano completamente compromesse ma presentavano elementi di vulnerabilità tali da giustificare un controllo prolungato e stringente. Se durante il periodo di sorveglianza non emergeranno altri segnali di infiltrazione e sarà accertato il venir meno delle condizioni che avevano motivato il provvedimento, potrà essere rilasciata un’informazione antimafia liberatoria.

La provincia più “bagnata” da questi interventi è quella di Foggia, con nove misure complessive — sette interdittive e due collaborazioni — confermando la persistente pressione mafiosa in alcune aree della Puglia. Seguono le province di Caserta e Catania con due provvedimenti ciascuna; altre misure sono state adottate nelle province di Torino, Teramo, Modena, Lecco e Ancona. È emblematico che nel cantiere della provincia di Lecco, destinato a interventi legati all’Olimpiade, investigatori della DIA insieme a forze dell’ordine abbiano fatto accesso all’area e controlli completi, dimostrando che la linea di prevenzione non si arresta appena varcata la soglia dei contesti “tradizionalmente sensibili”. Malgrado le grandi distanze geografiche e i singolari profili territoriali, le mafie hanno mostrato una capacità di “deriva” strategica: puntare a opere anche in regioni apparentemente immuni, confidando sull’azzardo della sfida e sulla facilità — reale, in alcuni casi — di ottenere contatti e appoggi.

Una delle operazioni più significative riguarda appalti legati alle Olimpiadi. Secondo quanto emerso dalle indagini, vi sono gare per importi significativi, come quella da 28 milioni di euro assegnata per lavori a Livigno, che erano finite, nei piani delle organizzazioni criminali, nel mirino di società riconducibili a clan mafiosi. In un caso emblematico, la società “Infrastrutture M&B Srl” con sede a Milano è risultata essere collegata a imprenditori vicini al clan dei Barcellonesi, e avrebbe operato su diverse commesse pubbliche in Italia con modalità tipiche dell’infiltrazione (controllo degli appalti, relazioni strategiche, suddivisione dei compiti). Per tali motivi, i responsabili sono finiti in carcere. Questa vicenda conferma che non è solo il sud d’Italia ad attrarre l’attenzione delle mafie economiche: le operazioni si spingono fino al nord, in territori che beneficierebbero di una spinta inversa d’immagine e sviluppo ma che, proprio per questo, sono più vulnerabili. In parallelo, l’inchiesta “Reset” ha documentato un tentativo di infiltrazione in Cortina d’Ampezzo, con intimidazioni agli imprenditori locali, operazioni speculative nella movida locale e pressioni sugli amministratori, elementi che sconfinano nel crimine “classico” per raggiungere il fine degli appalti. Nel mirino sono finiti due fratelli legati ai circuiti della criminalità romana che avrebbero cercato di imporsi anche nei lavori limpidi legati all’evento olimpico. Perfino locali della movida e la gestione del territorio sono stati strumenti di presidio, per costruire consenso e legami utili allo scambio. Un manifesto della strategia mafiosa contemporanea: usare potere economico, intimidazioni, complicità amministrativa e controllo sociale per inserirsi in un modello “moderno” di impresa. Le opere olimpiche, con dossi di milioni di euro, prestiti, infrastrutture da potenziare, logistica da costruire e territori da modellare, costituiscono uno dei paradigmi più ambiti da queste strategie predatrici.

È in questo contesto che le misure di prevenzione collaborativa, introdotte dal decreto liberticida 152/2021 con l’articolo 94-bis del codice antimafia, acquistano un peso centrale. Esse permettono al prefetto di calibrare l’intervento in casi di agevolazione occasionale del soggetto, ovvero quando non vi sia un’organizzazione criminale già strutturata dietro l’impresa, ma si ravvisino rischi concreti. Invece di ricorrere subito all’interdittiva, che taglia fuori l’azienda dal mercato pubblico, si attiva un percorso di vigilanza controllata: obblighi di comunicazione al gruppo interforze per atti significativi (pagamenti, acquisti, incarichi), l’uso di conto corrente dedicato, la nomina di esperti esterni, la segnalazione preventiva di operazioni e movimenti considerati sensibili. Se il periodo finisce senza segnali di pericolo, l’impresa può essere «riabilitata» e iscritta all’anagrafe antimafia. Se invece emergono nuovi elementi, l’interdittiva scatta, come misura ultima. Questo meccanismo consente di contemperare la tutela dell’ordine pubblico con la tutela della continuità aziendale, distinguendo tra casi in cui la corruzione è sistemica e quelli in cui è occasionale o estranea al disegno strategico della criminalità. Le misure collaborative sono annotate in una sezione speciale della Banca Dati Nazionale Unica della Documentazione Antimafia, distinta dalle interdittive, e non ne condividono automaticamente gli effetti. Se il tribunale dispone un controllo giudiziario, la misura collaborativa può cessare e il periodo trascorso può essere computato nell’ulteriore sorveglianza. In questo modo, il sistema preventivo si struttura su livelli progressivi, con la possibilità del “recupero” dell’azienda se essa dimostra di sternere la propria impronta pulita. Nel passaggio tra il modello restrittivo e quello rigenerativo, l’azione dello Stato si fa più sottile — ma non meno decisa. Nel 2025 la struttura del Viminale ha già emesso 40 interdittive nei primi dieci mesi dell’anno, segnando un +13,19 % rispetto all’anno precedente e proiettandosi ben al di sopra delle 26 del 2024 e delle 19 del 2023. Questo dato non è un semplice numero, ma una traccia del crescente uso dello strumento preventivo come argine sistemico al rischio mafioso che riguarda le dinamiche economiche del Paese.

Secondo la Direzione Investigativa Antimafia, il dato nazionale è chiaro: circa lo 0,25 % delle imprese italiane è esposto a rischio di infiltrazione mafiosa. Una percentuale bassa in assoluto, ma sufficiente a far emergere un tessuto connettivo di imprese “a rischio”, che possono fungere da punti di accesso alle economie locali e nazionali. Nelle statistiche del Ministero della Giustizia e dell’Osservatorio Misure Patrimoniali e di Prevenzione, l’attenzione si concentra sugli ambiti sensibili: costruzione, appalti pubblici, grandi eventi, opere infrastrutturali, investimenti territoriali. In questi settori la pressione mafiosa è continua: le organizzazioni prediligono imprese che operano in settori con barriere all’ingresso elevate, dove il controllo del mercato può diventare rilevante, e dove poter imporre clausole, forniture, subappalti e connivenze con operatori locali. La ricerca empirica nel panorama economico-criminale – anche con reti di analisi relazionale – mostra come le mafie concentrino le loro attenzioni su settori ad alta centralità economica e con pochi operatori, che facilitano il controllo e la “presa”. Le aziende intermedie, poi, sono più vulnerabili: un’impresa “piccola” entra nel sistema come subappaltatrice e, col tempo, viene condizionata al cambio del suo management, all’entrata di prestanome, e alla subordinazione alle logiche del clan.

In Italia, la storia dell’infiltrazione mafiosa negli appalti non è una novità. Già negli anni Novanta emersero connectome inquietanti: l’“Indagine Mafia e Appalti” in Sicilia rivelò il meccanismo di una “cupola” parallela che gestiva l’assegnazione di lavori pubblici con l’ausilio di appoggi politici locali, società di copertura e intrecci di relazioni. Ciò che oggi cambia è il contesto: infrastrutture ormai digitali, gare telematiche, filiere complesse, progettazioni sovracomunali e finanziamenti europei. Le mafie cercano di adattarsi, intervenendo fin dalle prime fasi progettuali, entrando negli studi professionali, condizionando le scelte degli enti locali, infiltrando consorzi, fornitori, consulenti. In questo scenario, la prevenzione — più che la repressione — diventa la chiave strategica. Bloccare un’azienda prima che ottenga l’appalto significa prevenire un sistema di vincoli e condizionamenti che sarebbe poi difficile e costoso da disarticolare.

L’ombra della mafia sui giochi olimpici è già concreta: nei piani di Milano-Cortina, sono previste 111 opere da completare entro pochi anni, per un valore complessivo stimato di oltre 3,6 miliardi di euro. Una montagna finanziaria cui non è estranea la tentazione del malaffare. Le interdittive emesse di recente riguardano anche aziende veronesi candidate alle opere olimpiche, che avevano presentato domanda di iscrizione all’anagrafe antimafia e risultano legate alla ’ndrangheta calabrese attiva nella zona. Le gare, i servizi, le forniture: tutto è oggetto di controllo. Le misure restrittive sono state disposte in contesti dove il pericolo di “controllo mafioso” è stato riscontrato già nella fase amministrativa, nelle relazioni societarie, nei finanziatori, negli appoggi istituzionali. In Veneto, un gruppo criminale già accertato ha cercato di profilarsi per subentrare nei lavori, e sono scattate operazioni e arresti con accuse di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Ne risultano minacce agli imprenditori, pressioni sui politici locali e tentativi di condizionamento diretto della macchina pubblica. E ancora: nel cantiere della provincia di Lecco sono intervenuti gli investigatori antimafia e le forze dell’ordine per verificare la regolarità delle procedure, verificare la provenienza delle imprese e controllare la loro storia aziendale. In molti casi, è emersa l’ombra dei clan già nel contratto tecnico o nei bandi di gara, prima ancora che si aprisse il cantiere. Lavori fermi, imprese escluse, progetti cancellati: è l’effetto immediato della linea dura.

Il risultato è che il Paese sta costruendo un presidio difensivo contro il “contagio mafioso” nelle opere pubbliche. Ma non basta. Occorre rafforzare ulteriormente le capacità investigative, alimentare la trasparenza nei bandi, proteggere chi denuncia, dare continuità operativa ai controlli anche nella fase esecutiva, aumentare l’integrazione tra Prefetture, Procure, enti locali, forze dell’ordine. Occorre anche curare la “cultura del rischio”: molte imprese — specie nelle aree marginali — operano in condizioni di fragilità, accettano pressioni, contaminazioni, commistioni. Far crescere un’economia virtuosa, informata e consapevole è parte della risposta. Se le misure preventive sono uno scudo, l’educazione civica e il rigore amministrativo devono diventare la controparte visibile della penetrazione mafiosa. Solo così le Olimpiadi 2026 potranno rappresentare non soltanto un grande evento sportivo, ma un banco di prova per la Repubblica che sceglie di resistere, non di cedere.

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