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Cronaca
06 Settembre 2025 - 01:29
Andrea Vincenzi
Sono finite sotto inchiesta le due pediatre dell’ospedale di Chivasso che avevano avuto in cura Andrea Vincenzi, il dodicenne di Castiglione Torinese morto dopo tre dimissioni in meno di due giorni. L’accusa è pesantissima: omicidio colposo nell’esercizio della professione sanitaria.
Andrea, portiere dell’Usd Gassino San Raffaele, il 21 febbraio 2024 non è tornato a casa dopo l’ultima corsa disperata in ambulanza, ma è morto per una pertosse non diagnosticata, trasformata in un versamento pleurico che gli ha tolto il respiro e con esso ogni speranza di futuro.
L’iscrizione delle due dottoresse nel registro degli indagati è un atto dovuto per consentire l’incidente probatorio, disposto dalla pm di Ivrea Maria Baldari su richiesta del legale della famiglia, Stefano Castrale.
Una procedura tecnica, certo, ma anche una svolta che riapre con forza la ferita di quei giorni. Il tribunale ha nominato due periti, Monica D’Amato e Vincenzo Tipo, chiamati ad analizzare i campioni biologici e tutta la documentazione clinica, per stabilire se davvero quella morte fosse inevitabile o se sia stata la conseguenza di errori e sottovalutazioni.
Secondo la ricostruzione della Procura, durante il terzo accesso in pronto soccorso le due pediatre – assistite dagli avvocati Enrico Calabrese e Gian Maria Nicastro – non avrebbero modificato la terapia antibiotica nonostante il quadro clinico peggiorasse. Non avrebbero prescritto una radiografia del torace, che avrebbe potuto rivelare l’estensione dell’infezione, e non avrebbero disposto un ricovero che avrebbe consentito un monitoraggio costante. In altre parole, avrebbero lasciato che Andrea tornasse a casa quando il suo corpo non era più in grado di resistere.
Il referto dell’autopsia del medico legale Alessandro Marchesi è chiaro: insufficienza respiratoria causata da un versamento pleurico massivo, conseguenza di una pertosse non diagnosticata.
Un quadro che stride con le parole del direttore della Pediatria di Chivasso, Fabio Timeus, che all’indomani della tragedia aveva difeso i colleghi sostenendo che gli esami eseguiti e le condizioni cliniche considerate stabili avevano consentito le dimissioni con terapia antibiotica.
«Sono stati rispettati i protocolli», aveva dichiarato. Parole che non bastano a cancellare le ombre, soprattutto alla luce delle due consulenze ordinate dalla Procura, che hanno sollevato più di un dubbio sull’operato del personale.
Tra il secondo e il terzo accesso al pronto soccorso, inoltre, furono riscontrati un’infezione da Mycoplasma e un ematoma all’avambraccio destro. Anche questi elementi, secondo gli inquirenti, avrebbero dovuto far scattare ulteriori accertamenti. Ma così non è stato. Andrea, dopo tre dimissioni consecutive, è peggiorato fino alla corsa disperata verso il Regina Margherita di Torino, dove è arrivato ormai allo stremo. Pochi minuti dopo il suo cuore si è fermato, lasciando i genitori Roberto e Maria Valeria Bertana in un dolore impossibile da raccontare.
La loro battaglia non si è mai fermata. Per loro, per gli amici, per i compagni di scuola e di squadra, Andrea non può diventare solo un numero nelle statistiche. Nei giorni successivi alla tragedia, Castiglione Torinese si fermò per una fiaccolata silenziosa nel piazzale della scuola media Enrico Fermi: centinaia di persone con le candele in mano, un’intera comunità che piangeva un ragazzino di dodici anni. I suoi compagni di squadra lo ricordarono stringendo i guantoni da portiere, simbolo di una passione che lo accompagnava ovunque. L’Usd Gassino San Raffaele lo salutò con parole semplici e strazianti: «Andrea era uno di noi, sempre sorridente, sempre pronto a dare tutto in campo. Non lo dimenticheremo mai».
L’inchiesta della Procura di Ivrea, aperta subito dopo la morte con un fascicolo a carico di ignoti, entra adesso nella sua fase decisiva. Da una parte, la difesa dei medici e dell’ospedale, che continua a rivendicare il rispetto dei protocolli; dall’altra, le consulenze tecniche e le accuse di negligenza, che puntano il dito sulle dimissioni troppo frettolose e sulle mancate diagnosi.
È un processo alla sanità e alle sue fragilità, ma soprattutto alla distanza che spesso separa i protocolli dalla vita reale, dalle urgenze di un bambino che peggiora davanti agli occhi dei suoi genitori.
Perché a dodici anni non si muore di una pertosse che non viene riconosciuta, non si muore dopo tre dimissioni consecutive da un pronto soccorso. Si muore di errori, di leggerezze, di omissioni. E questo è ciò che l’incidente probatorio dovrà chiarire: se la tragedia di Andrea fosse davvero inevitabile o se dietro quel dramma ci siano responsabilità concrete.
Intanto, la sua storia resta incisa nella memoria di chi lo ha conosciuto e di chi oggi chiede verità. Una richiesta che non potrà riportarlo in vita, ma che almeno potrà dare un senso a quel dolore che, un anno e mezzo dopo, continua a bruciare come il primo giorno.
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