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Cronaca

È morto Emilio Fede, il volto più discusso del giornalismo televisivo italiano

Dagli esordi in Rai al TG1, dall’avventura con Studio Aperto fino ai vent’anni al TG4: una carriera segnata da successi, polemiche e schieramenti netti. Si è spento a 94 anni in una residenza sanitaria a Segrate, circondato dall’affetto delle figlie

È morto Emilio Fede, il volto più discusso del giornalismo televisivo italiano

Emilio Fede

Era nato il 24 giugno del 1931 a Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia, ed è morto il 2 settembre 2025, a 94 anni, in una residenza sanitaria di Segrate, vicino Milano. Emilio Fede non è stato soltanto un volto televisivo, ma un pezzo della storia – e delle contraddizioni – del giornalismo italiano. Cresciuto in una famiglia semplice, figlio di un maresciallo maggiore dei Carabinieri e di una cantante d’opera, intraprese la strada della comunicazione in un’Italia che stava imparando a convivere con la televisione come mezzo di informazione di massa.

Nei primi anni di carriera lavorò per la Rai, ricoprendo il ruolo di inviato speciale in Africa per circa otto anni. Una vita da frontiera, vissuta tra conflitti, reportage difficili e situazioni estreme che lo formarono come cronista e lo temprarono caratterialmente.

Nel 1976 arrivò la direzione del TG1, che mantenne fino al 1982: un incarico che lo portò al vertice del giornalismo televisivo istituzionale e che gli diede la notorietà nazionale. Ma la sua carriera, segnata da scelte spiazzanti, prese una piega ancora più nota al grande pubblico quando decise di passare dall’informazione pubblica a quella privata.

Emilio Fede

Emilio Fede con Bruno Vespa

Emilio Fede con Bruno Vespa

Con marina Berlusconi

Con Marina Berlusconi

Nel 1989 approdò a Fininvest, il gruppo di Silvio Berlusconi, e fu lui a ideare e lanciare Studio Aperto, il telegiornale di Italia 1, pensato con un linguaggio più giovane e uno stile meno paludato rispetto ai tg tradizionali.

Tre anni dopo, nel 1992, prese le redini del TG4, la testata di Rete 4, e da allora legò indissolubilmente il suo nome a quella trasmissione. Per vent’anni, fino al 2012, fu il volto e la voce di un tg che divenne simbolo di un’informazione schierata, di un giornalismo militante, dichiaratamente filo-berlusconiano, senza mai nasconderlo.

Per i detrattori, un portavoce travestito da giornalista; per i sostenitori, un professionista che difendeva con coerenza una parte politica. Fede non era mai neutrale, e proprio questa assenza di neutralità lo rese amatissimo e odiato, bersaglio delle satire televisive e dei giornali, ma anche punto di riferimento per un pubblico che riconosceva in lui una voce forte, netta, senza sfumature.

Il suo stile era unico, autoritario e talvolta brusco, dentro e fuori dal video. Le cronache lo descrivevano come severo con i collaboratori, pronto a fulminare con battute dure chi non rispettava le sue regole. Nella conduzione mostrava un linguaggio diretto, quasi teatrale, che lo rese anche una maschera caricaturale per Striscia la Notizia e altre trasmissioni satiriche che negli anni lo presero di mira. Nonostante le polemiche, rimase al centro della scena per decenni, diventando uno dei volti più riconoscibili della televisione italiana.

Non mancò l’attività di scrittore: pubblicò diversi libri, dal celebre Finché c’è Fede del 1997 a Privé, L’invidiato speciale, Fuori onda e altri testi in cui mescolava memorie personali, racconti dietro le quinte e riflessioni sul potere mediatico. Opere che confermano come abbia sempre voluto lasciare traccia della propria esperienza, nel bene e nel male.

La sua vita privata è stata segnata dal matrimonio con la giornalista e senatrice Diana De Feo, compagna di una vita, scomparsa nel 2021. Con lei ebbe due figlie, Simona e Sveva, che gli sono rimaste accanto anche negli ultimi anni. Dopo la morte della moglie, Fede si trasferì in una residenza sanitaria assistita, dove trovò una quotidianità diversa, fatta di ricordi e di un tempo lento. In diverse interviste, ormai ultranovantenne, dichiarava con una lucidità sorprendente di non temere la morte e di vivere con serenità la sua età. “Sono vicino ai cento anni e non ho paura. Quello che mi resta voglio viverlo senza rancori”, diceva.

La notizia della sua morte ha segnato la fine di un’epoca televisiva. Perché Emilio Fede è stato molto più di un direttore di telegiornale: è stato il simbolo di un modo di intendere l’informazione, spesso criticato, a tratti parodizzato, ma impossibile da ignorare. Amico e sodale di Berlusconi, avversato da chi rivendicava un giornalismo indipendente, ha incarnato la polarizzazione dell’Italia degli ultimi decenni. Quando la sera, alle 19, appariva in video, con lo sguardo severo e la voce impostata, milioni di telespettatori sapevano già che non avrebbero trovato un’informazione neutra, ma una lettura precisa, tagliente, di parte. Per alcuni un male assoluto, per altri un valore. Eppure, che lo si amasse o lo si detestasse, Emilio Fede era sempre riconoscibile, coerente con il suo personaggio, fino all’ultimo giorno in cui lasciò il video.

Ora che se n’è andato, il ricordo che resta è quello di un uomo che ha attraversato quasi un secolo di storia italiana, con le sue ombre e le sue luci, un cronista diventato personaggio, un direttore che non ha mai accettato di passare inosservato. Il suo addio chiude non solo una lunga parabola personale, ma anche una stagione del giornalismo televisivo che non tornerà più.

rete quattro

Emilio Fede, l’amico fedele del Cavaliere
che trasformò il giornalismo in cortigianeria

Ci sono amicizie che raccontano più di mille biografie, e quella tra Emilio Fede e Silvio Berlusconi è una di queste. Non era solo il rapporto tra un giornalista e un leader politico: era la rappresentazione plastica di un Paese che per vent’anni ha confuso informazione e propaganda, potere e amicizia, giornalismo e fedeltà personale. Fede non fu mai neutrale, non volle mai esserlo: scelse di schierarsi, di difendere il Cavaliere in ogni circostanza, trasformando il TG4 in una dependance di Arcore, un microfono pronto a smentire, a controbattere, a rilanciare. Non un telegiornale, ma un bastione.

Il prezzo di quella fedeltà è stato alto. Le cronache lo hanno immortalato come anfitrione di cene eleganti e accompagnatore delle famigerate olgettine, sempre in prima fila a coprire le cadute del suo amico, pronto a giustificare l’ingiustificabile. Nei tribunali il suo nome è comparso più volte, come presenza ingombrante di un sistema che ha sporcato la politica e macchiato il giornalismo. Non un passante, ma un ingranaggio. Eppure, nonostante le inchieste, le intercettazioni e le risate degli italiani che lo vedevano trasformato in caricatura dalle trasmissioni satiriche, Emilio Fede non ha mai rinnegato Berlusconi. Non lo ha fatto nei momenti di gloria, e non lo ha fatto quando il Cavaliere finì travolto dagli scandali.

Quella fedeltà cieca e assoluta è stata la sua rovina e, allo stesso tempo, la sua cifra. Perché in Italia un giornalista che smette di essere giornalista e diventa amico, scudiero, cortigiano, entra in un limbo in cui tutto è consentito, almeno fino a quando il potente resta potente. E quando il potere tramonta, resta la caricatura, resta la memoria di un volto televisivo che ha scelto di accompagnare il tramonto del suo amico con la stessa devozione con cui ne aveva celebrato l’ascesa.

Oggi Emilio Fede se n’è andato, pochi mesi dopo Berlusconi. La loro parabola si chiude insieme, come insieme avevano scritto un pezzo di storia italiana. Una storia fatta di successi televisivi e macerie etiche, di audience e scandali, di sorrisi televisivi e intercettazioni imbarazzanti. Se ne va il direttore del TG4, ma soprattutto l’amico fedele del Cavaliere. E non basteranno i necrologi pieni di nostalgia a cancellare l’altra verità: che quella amicizia ha contribuito a rendere più fragile il giornalismo e più opaca la politica, in un’Italia che troppo spesso ha scelto di ridere invece di indignarsi.

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