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Cronaca
29 Agosto 2025 - 16:44
Annamaria Bernardini de Pace
Il punto di partenza, giuridicamente parlando, è netto: si tratta della violazione del principio costituzionale che tutela l'identità e la dignità della persona e, nello specifico, della ferita inferta con brutalità all’identità femminile attraverso la diffusione non consensuale di immagini private. A ribadirlo con forza, in un’intervista rilasciata all’ANSA, è Annamaria Bernardini de Pace, avvocata matrimonialista di fama nazionale e tra le massime esperte di diritto di famiglia in Italia.
La legale annuncia di voler avviare un’azione senza precedenti, pronta a raccogliere segnalazioni e denunce da parte delle donne che in questi giorni sono finite loro malgrado al centro di vicende legate a piattaforme e siti web di matrice sessista. Episodi che hanno indignato l’opinione pubblica, alimentando un acceso dibattito sui confini tra libertà digitale, responsabilità delle piattaforme e tutela della privacy.
Secondo Bernardini de Pace, tutte le «donne che sono state ferite con violenza nella loro identità femminile» avranno la possibilità di aderire a una class action. L’obiettivo è chiaro: chiedere un risarcimento danni a carico di Facebook, ritenuto corresponsabile per la diffusione di contenuti degradanti nel gruppo social “Mia moglie”, dove venivano pubblicate immagini private di mogli e compagne senza alcun consenso. «A me – precisa la legale – potranno rivolgersi tutte le donne colpite. Noi per loro chiederemo un risarcimento diretto a carico del social network».
La matrimonialista non risparmia una nota ironica nei confronti degli autori dei post: «Lo potremmo chiedere anche agli uomini, certo, ma non credo che avessero molto tempo per lavorare, se poi lo impiegavano in questo modo…».Una stoccata che mette in luce, oltre all’aspetto legale, anche la miseria morale di un fenomeno che riduce le persone a oggetti di scherno e consumo.
Bernardini de Pace, per favorire le vittime, ha anche deciso di abbattere ogni barriera economica: «Le donne potranno contattarmi direttamente via email, all’indirizzo abdp@abdp.it, e io svolgerò questa attività solo per una cifra simbolica. Nessuna alta parcella, ovviamente».
A partire dalla prossima settimana, la legale, insieme al collega penalista David Leggi, inizierà a studiare a fondo i casi del gruppo Facebook “Mia moglie” e del forum online Phica.eu, altro spazio virtuale finito nell’occhio del ciclone per la pubblicazione e condivisione di immagini non consensuali. L’obiettivo è duplice: raccogliere le segnalazioni e le querele delle vittime e predisporre azioni coordinate sia sul piano civile, con richieste di risarcimento, sia sul piano penale. «Potremmo arrivare a due class action distinte, una per ciascuna vicenda», ha spiegato.
Le ipotesi di reato, del resto, non mancano. Sul fronte penale si potrebbe configurare innanzitutto il revenge porn, ossia la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza consenso, reato introdotto in Italia con la legge “Codice Rosso” nel 2019. Ma non solo: in alcuni casi si potrebbero contestare anche reati di stalking, molestie, violenza privata e, naturalmente, violazione della privacy. A questi si aggiungono i possibili profili di diffamazione e istigazione a delinquere, legati ai commenti offensivi e denigratori comparsi nei forum sessisti.
Infine, l’avvocata apre anche a un ulteriore fronte: l’intervento del Garante della Privacy. «Voglio vedere – conclude – se ci sarà la possibilità di chiamare in causa anche l’Autorità, perché in queste vicende è stato calpestato un diritto fondamentale: quello alla riservatezza».
Il caso, dunque, è destinato a crescere nei prossimi giorni e potrebbe aprire un nuovo capitolo nella battaglia per la tutela delle donne in rete. Una battaglia che non riguarda soltanto i tribunali, ma l’intera società: perché dietro lo schermo e l’anonimato digitale si nascondono forme di violenza reale, capaci di segnare profondamente la vita delle persone coinvolte.
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