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Cronaca

Due morti in 48 ore: il Taser divide l’Italia

Da Olbia a Genova, due uomini uccisi dalle scariche della pistola elettrica. Quattro carabinieri indagati, inchieste aperte e un Paese che si interroga: arma di difesa o condanna a morte?

Due morti in 48 ore: il Taser divide l’Italia

Taser

Due morti in due giorni. Non un bollettino di guerra, ma la cronaca nera di un Paese che continua a raccontarsi che il Taser è “un’arma non letale”, salvo poi dover spiegare ai familiari delle vittime perché, dopo tre scosse, un uomo non si rialza più.

La prima tragedia si consuma a Olbia, nella notte di sabato, tra musica e caos alla fine del Red Valley Festival. In quel contesto, i Carabinieri intervengono e usano la pistola elettrica su Gianpaolo Demartis, 57 anni. Un colpo, un corpo che cade a terra, e l’illusione di uno strumento “sicuro” che svanisce in un attimo. L’uomo muore poco dopo e la procura apre un’inchiesta.

Ventiquattr’ore più tardi, la scena si ripete in Liguria, a Manesseno, alle porte di Genova. Qui il protagonista involontario è Elton Bani, 41 anni, albanese. Secondo la ricostruzione, l’uomo sarebbe stato agitato, difficile da contenere. Ma i colpi di Taser diventano tre, fino a quando il suo corpo non cede. Stavolta la Procura non attende: quattro Carabinieri vengono indagati, e sarà l’autopsia a dire se la scarica elettrica sia stata la causa diretta della morte.

Due episodi ravvicinati, due uomini, due vite spezzate in meno di 48 ore. L’effetto è devastante: il Taser, anziché presentarsi come strumento di deterrenza, torna al centro di un dibattito feroce. Da un lato ci sono le forze dell’ordine che difendono il suo utilizzo, richiamando i dati forniti dalla società produttrice: un’arma che sarebbe sicura nel 99,7% dei casi. Dall’altro lato, però, ci sono i fatti, i numeri che non entrano nelle percentuali: due cadaveri stesi a terra in due giorni.

La politica non resta in silenzio. Il sottosegretario leghista Nicola Molteni difende a spada tratta l’arma: “È efficace, non va criminalizzato”. Ma davvero si può liquidare tutto con uno slogan? Davvero è sufficiente ricordare che nella stragrande maggioranza dei casi il Taser non uccide, quando davanti abbiamo due famiglie che in un weekend di mezza estate hanno perso un padre, un fratello, un figlio?

C’è chi ricorda che in altri Paesi le polemiche sono già esplose da tempo. Amnesty International da anni denuncia i rischi, spiegando che le scariche elettriche possono essere letali soprattutto in situazioni di stress, consumo di alcol o droghe, fragilità cardiache. È esattamente il contesto in cui, spesso, il Taser viene usato: interventi notturni, scenari caotici, persone già in condizioni fisiche alterate. Insomma, il campo minato perfetto per trasformare un’arma “a bassa letalità” in una condanna a morte.

Il problema allora non è solo la pistola elettrica, ma il modo in cui viene brandita. Quante scariche sono troppe? Due? Tre? E soprattutto: è giusto che un’arma del genere venga usata come fosse un telecomando per immobilizzare chiunque non si lasci mettere le manette senza protestare?

Il rischio è quello di una deriva culturale: considerare normale che un corpo venga stordito a colpi di elettricità, come se fosse il prezzo inevitabile della sicurezza. Ma di fronte ai cadaveri di Olbia e Genova, è difficile non chiedersi se il confine tra sicurezza e abuso non sia già stato superato.

Intanto, la cronaca non lascia spazio a dubbi: ci sono due fascicoli aperti, due procure al lavoro, quattro carabinieri indagati. E c’è un Paese che, dopo un weekend segnato dalla morte, si ritrova a domandarsi se davvero il Taser sia lo strumento che ci rende più sicuri o piuttosto l’ennesima illusione di una politica che preferisce il gesto spettacolare al ragionamento serio.

Perché alla fine, più che le statistiche e gli slogan, restano due nomi: Gianpaolo Demartis e Elton Bani. Due vite spezzate, due famiglie distrutte, due città scosse. E una domanda che rimbalza ovunque: quante altre morti serviranno prima che l’Italia si chieda davvero se il Taser è la risposta o il problema?

taser

Sono 5mila i taser, anche per la polizia locale
Personale formato, colpi da non meno di 3 metri, valutare rischi

In Italia sono attualmente circa cinquemila i taser in dotazione alle forze dell'ordine. Dopo la sperimentazione partita nel luglio del 2018, la pistola elettrica – che rientra nella categoria delle armi proprie – è stata affidata alla Polizia di Stato, ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza e, dal 2022, anche agli agenti della Polizia locale.

Il taser (l'acronimo sta per Thomas A. Swift's Electronic Rifle, dove Tom Swift è il nome del personaggio di un fumetto dell'epoca) è un'arma da difesa nata all'inizio degli anni Settanta come evoluzione dei manganelli elettrici. In Italia è affidata agli agenti ed ai militari che hanno seguito corsi di formazione specifici ed è affidata, in primo luogo, agli operatori di primo intervento, come ad esempio i Carabinieri del reparto Radiomobile.

La pistola emette una scarica ad alto voltaggio (circa 50.000 volt) e basso amperaggio, a partire da una normale batteria da 7,2 volt. In base alle linee guida del 2018 per il corretto utilizzo da parte delle forze dell'ordine, la distanza consigliata dal bersaglio è tra i tre e i sette metri. Ogni scarica dura circa cinque secondi.

“Il taser – si legge nel documento – va mostrato senza essere impugnato per far desistere il soggetto dalla condotta” e “va estratto qualora necessario, ponendo in essere tutti quegli accorgimenti propri delle tecniche operative di base, quali la triangolazione in relazione alla fonte di pericolo e il rispetto delle linee di tiro e delle distanze di sicurezza. L'intervento va effettuato preferibilmente in presenza di un secondo operatore”.

Inoltre, i puntatori laser del taser possono essere “indirizzati sul soggetto come deterrente” e può essere utilizzato il pulsante ‘warning arc’, “mostrando e facendo udire il crepitio dell'arco voltaico senza colpire il soggetto”.

Se l'azione di deterrenza visiva non produce effetto, l'operatore delle forze dell'ordine, “mediante pressione sul grilletto”, può azionare l'arma.

Le linee guida definiscono anche le precauzioni a cui gli agenti e i militari devono attenersi. La decisione di utilizzare l'arma deve “considerare per quanto possibile il contesto dell'intervento” e “i rischi associati alla caduta della persona dopo che la stessa è stata colpita”. Nel suo utilizzo, inoltre, deve essere tenuta in considerazione la “vulnerabilità del soggetto”, come ad esempio uno stato di gravidanza o una disabilità motoria. Dopo ogni utilizzo – indipendentemente dalle condizioni fisiche in cui versa il soggetto colpito – va “sempre richiesto l'intervento di personale sanitario, che dovrà rilasciare una certificazione medica descrittiva”.

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