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Cronaca

Condannati i “nonni rapinatori”: colpirono l'Unicredit di Poirino con un bottino da film

La Corte d’appello conferma le pene per la banda della terza età: profili esperti e prove scientifiche

Condannati i “nonni rapinatori”

Condannati i “nonni rapinatori”: colpirono l'Unicredit di Poirino con un bottino da film (foto archivio)

Avevano passato da un pezzo l’età della pensione, ma non quella del crimine. La Corte d’appello di Torino ha messo la parola fine sulla vicenda giudiziaria della cosiddetta “banda dei nonni”, confermando le condanne per tutti gli imputati coinvolti nella rapina alla banca Unicredit di Poirino, un colpo da manuale messo a segno oltre tre anni fa, ma che ancora oggi fa discutere per la sua dinamica e i suoi protagonisti.

Tra i nomi al centro della sentenza spicca quello di Vincenzo Verolla, classe 1942, una figura storica del crimine organizzato italiano. Non prese parte materialmente alla rapina, ma fu coinvolto nella ricettazione di un’auto rubata, funzionale al colpo. Malgrado l’età avanzata, Verolla è rimasto pienamente inserito nei meccanismi operativi del malaffare, mantenendo legami e un certo grado di influenza. La Corte ha ritenuto la sua posizione sufficientemente grave da confermare la condanna in appello, anche se per altri membri sono stati riconosciuti sconti di pena legati a comportamenti collaborativi o ruoli marginali.

Una delle figure più emblematiche del gruppo resta però Giovanni Nardozzi, conosciuto negli ambienti investigativi come “occhi di ghiaccio”, soprannome che non ha nulla di romanzesco: il suo sguardo freddo e imperturbabile, unito a una lucidità operativa fuori dal comune, ne ha fatto una mente del colpo. Accanto a lui agiva Luigi Palomba, meno brillante e più goffo, ma comunque parte del team che ha progettato e messo in atto la rapina a Poirino, riuscendo inizialmente a sfuggire all’identificazione.

Rapinatori professionisti ultra 70enni

Fondamentale, però, è stato il lavoro degli inquirenti e degli esperti forensi, che hanno ricostruito i passaggi cruciali della rapina anche grazie a una maschera in lattice abbandonata sul luogo del reato. Su quel travestimento, utilizzato per confondere le telecamere di sorveglianza, è stato isolato il DNA di Efisio Fadda, elemento che ha permesso agli investigatori di inchiodarlo con prove scientifiche difficilmente contestabili. È l’ennesima conferma di come la genetica forense stia diventando uno strumento imprescindibile per chi combatte il crimine sul campo.

A completare il quadro, c’è la posizione di Carmelo La Rosa, che durante gli interrogatori ha ammesso la propria carriera criminale come rapinatore di banche. Una confessione parziale, però, perché La Rosa ha scelto di non fare nomi, lasciando intatti i legami di fedeltà e omertà che spesso caratterizzano questi gruppi. La sua dichiarazione ha comunque aiutato a definire con maggiore chiarezza la struttura della banda, composta quasi esclusivamente da individui con decenni di esperienza nei furti armati, in gran parte recidivi.

Il colpo alla Unicredit di Poirino non fu un’improvvisazione. Secondo gli atti, la rapina fu pianificata con cura, dai sopralluoghi all’utilizzo di mezzi rubati, fino alla distribuzione dei compiti. Il bottino, ingente, non è mai stato del tutto recuperato. Gli arresti avvenuti in seguito furono il frutto di una lunga indagine fatta di pedinamenti, intercettazioni e incroci di dati, che ha permesso di smontare una macchina criminale che si era mimetizzata perfettamente nella routine di quartiere.

Non erano dilettanti. E neppure disperati. Erano professionisti del furto, uomini con il cinismo e la lucidità di chi ha passato la vita tra carceri, fughe e colpi riusciti. Ma la loro storia finisce in un’aula giudiziaria, con condanne che segnano un precedente anche simbolico: la criminalità non va in pensione, e il crimine, anche se in abiti da anziano, continua a rappresentare una minaccia concreta, sofisticata e insidiosa.

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