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Cronaca

Cade dal letto a 92 anni, l’Asl To4 condannata: “Mancavano le sponde di protezione”

Il tribunale di Ivrea ha riconosciuto una grave omissione dell’ospedale eporediese: risarcimento da quasi 150 mila euro al figlio di una donna di Vische. La paziente era fragile, sedata e lasciata sola senza barriere di sicurezza. Escluso il nesso con la morte, ma resta la responsabilità contrattuale dell’Asl

Cade dal letto a 92 anni, l’Asl To4 condannata: “Mancavano le sponde di protezione”

Cade dal letto a 92 anni, l’Asl To4 condannata: “Mancavano le sponde di protezione”

È caduta dal letto nel cuore della notte, in un ospedale dove avrebbe dovuto essere protetta. Si è fratturata il femore e non si è più ripresa. Sei mesi dopo, è morta. Il Tribunale di Ivrea, con sentenza firmata dalla giudice Stefania Frojo, ha condannato l’Asl To4 a risarcire il figlio della paziente con 148.486 euro, per non aver adottato le necessarie misure di prevenzione durante il ricovero della madre. A ciò si aggiungono oltre 17 mila euro di spese legali e per le consulenze tecniche.

I fatti risalgono alla notte tra l’1 e il 2 marzo 2021. La donna, 92 anni, originaria di Vische, si trovava ricoverata all’ospedale di Ivrea. Il 28 febbraio era stata visitata per episodi di assenza e stato confusionale. La notte del 2 marzo, poco dopo la mezzanotte, si era agitata. Alle 2.30 il personale sanitario le aveva somministrato un sedativo. Circa mezz’ora dopo, alle 3 del mattino, la donna è stata trovata a terra, caduta dalla barella. Aveva riportato una frattura al femore.

donna anziana

Secondo quanto emerge dagli atti del processo, al momento dell’incidente la paziente si trovava in stato di sedazione, era sola nella stanza, e il letto non era provvisto delle sponde di sicurezza, ovvero le barriere laterali che avrebbero potuto evitare la caduta. Un dettaglio decisivo, che la giudice ha evidenziato come indicativo di una grave carenza da parte della struttura sanitaria.

La consulenza tecnica d’ufficio, allegata agli atti, descrive la donna come una “paziente grande anziana fragile”, affetta da “plurime patologie, tra cui demenza, deficit visivi e motori” e pertanto “a elevato rischio di caduta”. Malgrado ciò, si legge ancora nella relazione, “non risultano predisposte misure adeguate di contenimento e sorveglianza”. La paziente si trovava in una condizione di oggettiva vulnerabilità, nota e documentata, eppure non fu protetta.

“Le cadute rappresentano l’evento avverso più comune negli ospedali e colpiscono spesso soggetti fragili”, sottolineano i periti. Una frase che pesa come un atto d’accusa. I dati, richiamati nella sentenza, parlano chiaro: “circa il 50% degli anziani che subiscono una frattura del femore non recupera più la deambulazione e uno su cinque muore entro sei mesi”. La donna in questione non ha fatto eccezione.

La causa era stata avviata dal figlio della paziente, rappresentato in giudizio dall’avvocato Giacomo Vassia, con una richiesta iniziale di quasi un milione di euro, comprensiva del danno biologico, morale e patrimoniale, nonché del risarcimento per il decesso della madre. Il tribunale ha accolto solo in parte la richiesta: ha riconosciuto il diritto al risarcimento per il danno biologico permanente, stimato nel 35%, per 66 giorni di invalidità temporanea, le sofferenze morali subite dalla donna e le spese sanitarie documentate.

È stato invece escluso il nesso causale diretto tra la caduta e la morte avvenuta nel settembre dello stesso anno. Secondo i consulenti del giudice, il decesso sarebbe da attribuire a una “sindrome involutiva senile”, già in corso al momento del ricovero e aggravatasi nei mesi successivi. Nessun elemento, secondo la consulenza, permette di affermare che la frattura del femore abbia contribuito in modo determinante o concausale alla morte.

La Asl To4, difesa in aula dall’avvocato Paolo Salvini, non è riuscita a fornire una spiegazione plausibile della dinamica della caduta, né a dimostrare di aver predisposto le misure previste dai protocolli di sicurezza. Anzi, sottolinea la sentenza, “l’assenza delle sponde laterali non è giustificata da indicazioni mediche o necessità cliniche specifiche”. Si tratta quindi, per il tribunale, di una “condotta omissiva imputabile alla struttura sanitaria”, che non può essere scaricata sul caso o sulla fragilità della paziente.

Non è stato riconosciuto nemmeno l’aumento per la personalizzazione del danno, né alcun risarcimento autonomo per il figlio, che pure ha vissuto, documentandolo, un lungo periodo di assistenza e sofferenza accanto alla madre.

Il caso, chiuso a più di tre anni dai fatti, restituisce un principio netto: la vulnerabilità dei pazienti anziani non può mai essere sottovalutata. Le misure di contenimento, la sorveglianza notturna, l’attenzione ai segnali clinici devono essere parte integrante delle cure. In assenza di queste tutele, come ha stabilito la giudice Frojo, la responsabilità non è né del destino, né dell’età, ma di chi avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto.

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