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Cronaca

A Hitler! A Hitler! A Hitler! Saluti romani e violenza razzista: chiuso il "bar" dei neo-fascisti torinesi

Nel quartiere Lingotto riti d’iniziazione a torso nudo, cori per la Shoah, spedizioni punitive contro migranti. Tutto in un locale affittato da un comunista, dove prima c’era un bar. Tra gli indagati anche il figlio dell’assessore Vignale

A Hitler! A Hitler! A Hitler! Saluti romani e violenza razzista: chiuso il "bar" dei fascisti torinesi

Nessuno, passando da via Berone, avrebbe potuto immaginare cosa accadeva dietro quella saracinesca sempre chiusa. A prima vista era un normale piano terra, in uno dei tanti palazzi grigi del Lingotto, dove un tempo dormivano gli operai della Fiat. Un quartiere popolare, di storia antifascista, dove le bandiere rosse hanno sventolato per decenni. E invece, per due anni, lì dentro si sono svolti raduni, riti e incontri clandestini di un gruppo di estrema destra che si faceva chiamare Avanguardia Torino.

All’esterno, un’insegna ispirata a Tolkien: “Edoras”, il nome della capitale del regno dei Rohirrim. Dentro, tutt’altro. Saluti romani, inni al Duce e a Hitler, bandiere nere, idoli fascisti, neonazisti provenienti da tutta Europa. Il locale — sequestrato il 6 luglio dai carabinieri del Ros su ordine della gip Paola Odilia Meroni — è stato, secondo la Procura, la base operativa di un’associazione con struttura gerarchica, finalizzata alla propaganda e all’istigazione all’odio razziale, etnico e religioso.

Dietro quelle mura insonorizzate, si tenevano riti di iniziazione degni di una setta. La scena si ripeteva uguale ogni volta che un nuovo militante si univa al gruppo. Due file parallele, ciascuna composta da quattro membri, si disponevano in silenzio. Al centro, il neofita, a torso nudo. Le luci basse, il silenzio teso. Poi il cammino tra i corpi immobili. E improvvisamente, colpi. Pugni, calci, schiaffi, spintoni. La violenza, rituale e glorificata, diventa il battesimo. Alla fine, il ragazzo urlava: «A Hitler!». E i presenti, come in un’eco cupa, rispondevano: «A Hitler! A Hitler!».

Ma non era l’unico rito. Ogni incontro cominciava con un saluto codificato. L’apertura era sempre la stessa: «Buonasera, camerati!». Poi partivano le canzoni: inni che inneggiavano a Hristo Lukov, generale bulgaro filonazista, cori che celebravano la morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù ucciso nel 1975, e inni contro l’immigrazione, l’Islam, il multiculturalismo. Si cantava: «Europa cristiana, mai musulmana!», «Odio il kebab e la Madama, bevo la birra e mangio il maiale fino a crepare!».

Durante una delle serate — il 27 aprile 2024 — un militante prende la parola dopo un concerto: «A un concerto rap normale vi chiederei un urlo per loro. Ma questo è un concerto rap per la nazione. Vi chiedo un casino di Heil!». Il pubblico risponde: «Heil! Heil! Heil!».

Ma il rituale più emblematico, quello che più di ogni altro ha allarmato la giudice, è la “chiamata al presente”. Un nome viene pronunciato ad alta voce: quello di un gerarca nazista, di un camerata caduto, di un criminale della storia. E l’intero gruppo risponde in piedi, con il braccio teso, urlando: «Presente!». È un gesto che secondo la Cassazione rappresenta “un concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”. Un segno, un codice, un’appartenenza.

In quella stessa sala si sono svolti concerti in cui si esaltavano i reparti d’assalto delle SS ucraine e si cantava: «Me ne frego di morire, me ne frego di Togliatti e del sol dell’avvenire! Camicia nera trionferà!». Tutto è stato documentato, registrato, intercettato dai carabinieri.

E fuori, ogni tanto, la violenza prendeva corpo. Il 28 aprile, dopo uno di questi incontri, il gruppo esce in spedizione. Indossano guanti con nocche d’ottone. Raggiungono i Murazzi. Accerchiano quattro ragazzi marocchini. Non riescono a colpirli perché scappano. Ma li deridono emettendo versi scimmieschi e urla gutturali. La gip ha confermato l’aggravante dell’odio razziale.

A gestire il locale, dal punto di vista formale, era Emanuele Picone, titolare della società che aveva affittato l’immobile. All’interno, un altro nome compare tra gli indagati: Matteo Vignale, figlio dell’assessore regionale al Patrimonio Gian Luca Vignale, che non risulta coinvolto nelle indagini. Ma il legame familiare e il ruolo istituzionale del padre rendono la sua presenza in quel gruppo particolarmente inquietante.

Il locale apparteneva a Umberto Ruggiero, 71 anni, ex funzionario della Città Metropolitana e militante comunista da mezzo secolo. In passato lo aveva affittato a un barista del quartiere. Solo di recente, ignaro della reale identità dei nuovi affittuari, si era accorto che lì dentro si agitava qualcosa di anomalo. La bandiera del Terzo Reich appesa fuori aveva fatto scattare le prime segnalazioni dei vicini. Ruggiero, pur non potendo intervenire direttamente per vie legali, si era mosso con discrezione, avviando contatti con un legale. Ma il contratto di affitto era valido fino al 2026.

Il blitz è arrivato prima. E per Ruggiero è stata una liberazione. Non dovrà più vedere le insegne naziste sventolare sopra un locale acquistato con i risparmi di una vita.

Avanguardia

Ora le indagini proseguono. Le intercettazioni sono decine, le prove raccolte numerose. Secondo la gip Meroni, il gruppo non si limita a “studiare la storia”: la manipola, la trasforma in propaganda. La violenza, scrive, è un metodo “permesso e lodato”.

Dietro una serranda chiusa, tra pareti che sembravano mute, si tramandavano parole e gesti antichi e letali. In nome di ideologie già condannate dalla storia, e che però — sotto altre forme, tra simboli fantasy, concerti rap e gerarchie occulte — tornano a camminare.

A Torino, città della memoria, dove ogni pietra ricorda la Resistenza, qualcuno progettava il ritorno.

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