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Cronaca
22 Giugno 2025 - 14:11
Imprenditore torinese detenuto in Venezuela: il dramma di Mario Burlò e l'angoscia della famiglia
L’ultima voce di Mario Burlò è rimasta sospesa in una telefonata del 9 novembre 2024. Poi il silenzio. Nessun contatto, nessuna notizia certa. Solo una conferma amara: è detenuto in Venezuela, in un carcere di località sconosciuta, dopo essere stato arrestato appena superato il confine con la Colombia, dove era entrato via terra.
Mario Burlò, 52 anni, imprenditore torinese nel settore dell’outsourcing, era a capo di varie aziende ed era in attesa di una sentenza definitiva in Italia. La Cassazione lo ha assolto dopo una precedente condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo Carminus, ma quando la sentenza è arrivata, lui era già sparito.
La sua famiglia ha appreso della detenzione solo attraverso una breve nota del console italiano, trasmessa al Tribunale di Torino, dove Burlò era imputato in un altro procedimento per presunte indebite compensazioni di crediti Iva e Irpef. Ma in Venezuela, al momento, nulla è chiaro: nessuna accusa formale, nessuna garanzia processuale, nemmeno la certezza del luogo in cui si trova.
«Sappiamo soltanto che è trattenuto in un carcere del Venezuela», dichiarano gli avvocati Maurizio Basile (foro di Torino) e Benedetto Marzocchi Buratti (foro di Roma), che rappresentano la famiglia Burlò. Aggiungono che «non ha avuto ancora diritto nemmeno a un contatto telefonico» e denunciano «tutta la legittima angoscia della famiglia, dei figli che pretendono di sapere come sta il padre, dove si trova e si augurano di poterlo riabbracciare».
L’unica informazione arrivata finora riguarda lo stato di salute del detenuto: «Nella struttura in cui è detenuto starebbe assumendo le medicine per seguire le terapie contro il diabete, patologia di cui soffre e che è trattato con parametri che non sono al di sotto del rispetto che si deve a ogni essere umano», spiegano i legali.
In seguito al loro esposto, la Procura di Roma, competente per i casi che riguardano cittadini italiani detenuti all’estero, ha aperto un fascicolo “K”, ovvero privo di ipotesi di reato e senza indagati. Intanto gli avvocati fanno sapere che «continueremo a ‘stressare’ i canali diplomatici. Certo, eventuali questioni geopolitiche possono aver influito sullo stato delle relazioni diplomatiche così come per i casi di altri detenuti, italiani ed europei, che sono ristretti nelle carceri venezuelane».
Come nel caso di Alberto Trentini, cooperante italiano arrestato in Venezuela lo stesso mese di Burlò. Anche su di lui, il buio. Nessuna accusa esplicitata, nessuna spiegazione, solo un nome in più nella lista dei cittadini europei detenuti in condizioni opache mentre le relazioni diplomatiche tra Caracas e l’Occidente si fanno sempre più fragili.
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