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Ombre su Torino

Impiccano lui. Stuprano lei. Otto anni dopo, Paola gli spara alla nuca

La storia di una donna dei suoi amori disperati e del suo fatale incontro con un criminale fatto e finito

Da  promessa sposa ad omicida.

Un branco a caccia.

Animali, perché descriverli come esseri umani risulta difficile. Guidati dal gusto di umiliare i propri simili, di provocare dolore gratuito o dal desiderio morboso di impossessarsi di qualche banconota. Nessuna bestia ragionerebbe così.

Questa storia inizia il 24 ottobre 1947 in un’osteria della frazione San Martino di Barge, uno dei primi paesi a sud della provincia di Torino. Qui, si ritrovano a cena tre giovani di poco meno di 20 anni, Giovanni Brogliera e i cugini Mario ed Egidio Maritano. Probabilmente ce l’hanno scritto in fronte o, forse, il locale è frequentato da diversi ammiratori del professor Lombroso: che siano dei criminali appare chiaro immediatamente a tutti gli altri avventori. Nessuno, però, decide di fare niente.

Li adocchiano mangiare e bere smodatamente, ne sentono i discorsi minacciosi urlati senza paura di essere notati, osservano l’inquietante borsone che uno di loro si porta dietro, li vedono anche, non paghi, andare via dopo aver rubato una bottiglia di vino.

È arrivata mezzanotte, fuori il buio divide la scena col freddo e la pioggia battente e il trio sa esattamente dove recarsi. Poco lontano c’è la cascina di un contadino che si chiama Bartolomeo Abate Daga, dove, tra l’altro, Egidio aveva lavorato per qualche tempo come garzone. La banda bussa alla porta, urlando a squarciagola: “Aprite, altrimenti vi facciamo la pelle”. La porta non si schiude, anzi si sente il paletto scattare, e, dall’interno, la moglie del mezzadro si sporge dalla finestra e deposita alcune carte da mille sul davanzale. “Vi prego, prendete questi ma lasciateci in pace” grida la donna, ma per i banditi non è abbastanza.

Uno di loro si arrampica su un albero, penetra nell’abitazione dal primo piano e, sotto la minaccia di un mitra Sten che teneva in una sacca, costringe la coppia a far entrare i complici. Superato l’uscio, quelle belve travestite da uomini mettono una grossa corda attorno al collo e al petto di Abate Daga e poi lo agganciano a una delle travi del petto. Con l’uomo appeso, i malviventi prima razziano totalmente l’alloggio e poi stuprano ripetutamente la moglie davanti ai suoi occhi e a quelli dei suoi due bambini. Liberano l’agricoltore solo quando, già cianotico, perde i sensi e poi scappano nell’oscurità della campagna.

Catturati quasi subito, i tre finiscono a processo e, nel 1949, vengono condannati a 18 anni di reclusione ciascuno. Il periodo, soprattutto per gli strascichi della Seconda guerra mondiale, è però ricco di amnistie e sconti di pena e, verso la fine del 1954, viene loro comunicato che sarebbero stati liberati nel luglio dell’anno successivo.

Uno di loro, Egidio Maritano, nonostante sia ancora rinchiuso nel carcere di Casale, decide di giocare d’anticipo e di iniziare a pianificare la sua nuova vita una volta lasciatosi le sbarre alle spalle. È il novembre 1954 e l’allora ventiseienne scrive una lettera a quello che i quotidiani dell’epoca chiamano “giornale a fumetti” ma che, in realtà, altro non è che La Settimana Enigmistica.

Queste le poche parole di cui si costituisce la missiva: “Sono un carcerato in procinto di riacquistare la libertà. Cerco una donna disposta a unire il suo destino al mio, sposandomi appena uscito di prigione”. L’unica risposta che riceve è quella di una sua coetanea originaria della provincia di Sassari che, in quel momento, è ricoverata in una clinica a Firenze per un brutto caso di tubercolosi: il suo nome è Paola Careddu. I due iniziano un’intensa corrispondenza epistolare, fatta di messaggi giornalieri conditi da numerose fotografie e, nel giro di qualche mese, pur non essendosi mai visti di persona, si convincono che sarebbero potuti convolare a nozze.

I tempi sono quelli che sono e, quindi, come prima cosa Egidio riferisce alla ragazza che, non appena scarcerato, sarebbe voluto andare in Sardegna dai genitori di lei per chiedergli la mano. Paola, tuttavia, un po’ non si fida e un po’ non vuole dare un altro, eventuale, dispiacere ai suoi. Sei anni prima, infatti, si era fidanzata con un geometra che l’aveva messa incinta con la promessa di sposarla e che poi, una volta nata loro figlia e aver affisso le pubblicazioni, era sparito nel nulla.

“Rimasta sola e disprezzata” come con naturalezza sottolinea La Stampa, la giovane si era anche comprata una pistola, una Beretta 6.35, con l’intento di trovarlo e farlo fuori ma, dopo poco, aveva rinunciato.

La fanciulla, allora, decide di andare lei, l’11 luglio 1955, a Pinerolo, a conoscere la madre di Egidio. La signora Carmela, una straccivendola abbandonata dal marito 20 anni prima e con un figlio morto in guerra, un altro fucilato dai partigiani e il terzo in quel momento ristretto per la serie di nefandezze che abbiamo già descritto, la accoglie come se fosse l’unico raggio di sole nell’ incubo in cui si è tramutata la sua esistenza.

Le dice che lei e il suo futuro sposino si sarebbero potuti trasferire nella sua casa, anche se definirla una situazione precaria è eufemistico. La donna abita in una stanza senza luce e acqua nella caserma del Terzo Reggimento Alpini in piazza Cavour 13, dove il comune aveva deciso di convogliare gli sfollati dei palazzi di via Nuova che erano stati demoliti.

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Ma non importa. Due giorni dopo Paola è a Casale per la scarcerazione di Maritano e se lo porta nel loro precario nuovo nido d’amore. Le cose vanno a meraviglia fino a metà settembre ma poi i soldi iniziano a scarseggiare. Egidio voglia di lavorare non è ha proprio. Prima spiega alle due donne che ha bisogno di tempo per riabituarsi alla vita dopo il carcere, poi che deve riallacciare le vecchie amicizie. Alle loro rimostranze è solito rispondere con scherno, chiedendo che fretta ci sia. Quando anche il danaro per i beni di prima necessità inizia a mancare, l’ex galeotto inizia a trafficare nel contrabbando di tabacco.

La Careddu, allora, viste anche la brutta compagnia che l’uomo ha iniziato a frequentare, decide di tornare nella terra natia in cerca di fondi per sopravvivere. Arrivata sull’isola, la giovane si procura circa 400 mila lire, affigge le pubblicazioni del matrimonio sulla porta della chiesa e torna a Pinerolo con tanto di dote.

Il problema è che, in sua assenza, Maritano non solo ha cambiato idea sullo sposalizio ma si è anche trovato una nuova fidanzata. La Careddu tante volte, anche quando tra loro regnava l’armonia, lo aveva avvertito: “Bada a quello che fai, per noi sardi la vendetta è sacra”. L’altro, però, normalmente accoglieva le sue parole ridendo.

30 settembre 1955.
Paola ed Egidio litigano ormai ogni giorno da una settimana. Lui le ha detto che non possono sposarsi in quel momento, di ritornare in Sardegna e che quando avrebbe trovato un lavoro fisso l’avrebbe fatta tornare e allora la cerimonia si sarebbe potuta celebrare. Le ha già spedito i bagagli e le ha comprato il biglietto del treno, non nascondendo, parole della ragazza, una certa soddisfazione.

Ore 14.
La madre di Maritano esce di casa e la coppia ricomincia a questionare. Dopo una mezzora, tuttavia, Egidio si butta sul letto e si mette a leggere un romanzo che gli aveva regalato proprio la Careddu, Forse che sì forse che no di D’Annunzio. Passa qualche minuto e l’uomo, come se nulla fosse, si assopisce. È a quel punto che Paola estrae la pistola che si era comprata sei anni prima per lavare la prima onta che aveva dovuto subire nella sua breve vita, la appoggia alla nuca del suo amante e preme il grilletto.

La vittima cade senza un lamento e un fiotto di sangue sporca le lenzuola e il libro aperto a pagina 57. Paola attende qualche minuto, poi prepara una borsa e, immediatamente, si reca dai carabinieri a costituirsi.

Arriva a processo nel 1956 preceduta da una certa fama, corroborata anche da una serie infinte di lettere di solidarietà ricevute in carcere non solo da tutta Italia ma anche dal Belgio, dalla Francia e dall’Olanda. Per il PM uccise per vendetta, per i difensori per preservare il proprio onore di promessa sposa tradita.

L’11 luglio 1956, ad un anno esatto dal suo arrivo a Pinerolo, Paola Careddu, riconosciutele le attenuanti generiche e della provocazione, viene condannata definitivamente a 10 anni di reclusione.

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