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Cronaca
18 Giugno 2025 - 14:50
Trovato morto in una casa popolare di Ivrea con la droga accanto
Un corpo senza vita. Un sacchetto con la droga vicino. Nessun segno di violenza apparente. Un alloggio popolare trasformato in rifugio di fortuna. È lo scenario che si sono trovati davanti i carabinieri della Compagnia di Ivrea quando, su segnalazione, sono entrati in un appartamento al secondo piano del civico 72 di via Papa Giovanni XXIII, nel cuore del quartiere Bellavista. Lì giaceva il corpo di un trentenne eporediese, già conosciuto dalle forze dell’ordine. Lì si è consumata, nel silenzio di una casa dimenticata, l’ennesima tragedia del disagio.
Secondo una prima ricostruzione, l’uomo non era solo. Con lui c’era almeno un’altra persona, che ha raccontato ai militari di aver dormito nell’appartamento e di aver scoperto la morte al risveglio. I due non si sarebbero introdotti abusivamente: avevano le chiavi. Quelle stesse chiavi che, stando a quanto riferito, erano state consegnate loro da una terza persona. E questa, a sua volta, le avrebbe ricevute direttamente dall’assegnatario ufficiale della casa. Un uomo con precedenti specifici per spaccio, da tempo assente dal palazzo.
La procura di Ivrea ha aperto un fascicolo per accertare le cause del decesso. Le indagini sono coordinate dalla pm Giulia Nicodemi. I primi rilievi medico-legali escluderebbero segni evidenti di violenza. L’ipotesi al momento più concreta è quella di una morte legata all’assunzione di sostanze stupefacenti. La conferma definitiva potrà arrivare solo dagli esami tossicologici e dall’autopsia, già disposta.
In casa, oltre al corpo, i carabinieri hanno trovato droga. Dalle testimonianze raccolte, pare che la sera prima i due – forse in compagnia anche di una ragazza – avessero fatto uso di sostanze. Poi, mentre lei avrebbe deciso di passare la notte altrove, loro avrebbero dormito lì, in quell’alloggio segnato dal tempo e dall’abbandono. Ma per uno dei due, quella notte è stata l’ultima.
Quello di via Papa Giovanni XXIII non è un edificio qualsiasi. È un simbolo – sempre più sfocato – di un’idea di edilizia popolare che avrebbe dovuto garantire dignità, servizi, protezione. Invece, negli anni, questo quadrante di Bellavista è diventato sinonimo di degrado. Una zona grigia dove regole e controlli sembrano valere meno. Un luogo dove, per sopravvivere, si spalancano cantine, si scardinano nottolini, si riciclano mobili abbandonati, si accettano le chiavi di casa come pegno di un favore o di un’assenza.
L’appartamento teatro della tragedia era già stato al centro delle cronache. Qualche tempo fa il suo assegnatario – lo stesso uomo oggi irreperibile – era finito sotto inchiesta per spaccio di droga. All’epoca, pur essendo ai domiciliari, proseguiva la sua attività illecita direttamente da casa. Durante una perquisizione, i carabinieri gli avevano trovato oltre 30mila euro in contanti. Dopo l’arresto e il trasferimento in carcere, la casa era rimasta vuota. Vuota, ma non disabitata. Perché in assenza di controlli sistematici, ogni alloggio non presidiato diventa preda facile di passaggi, occupazioni, intrusioni temporanee.
I residenti della zona raccontano di un andirivieni continuo, giorno e notte. Gente sconosciuta, visi nuovi, movimenti sospetti, occupazioni non autorizzate di spazi comuni, liti, rumori, rifiuti. Qualcuno ammette di aver già dovuto "sloggiare" personalmente occupanti abusivi dalle cantine. Altri preferiscono non esporsi, per timore o per stanchezza. Il clima, da tempo, è quello di un quartiere lasciato a se stesso.
Non si tratta solo di criminalità, ma di abbandono strutturale. Le criticità partono dall’alto – nella gestione degli alloggi, nella manutenzione, nella vigilanza – e si scaricano su chi lì ci vive ogni giorno. A fine maggio, l’associazione Bellavista Viva aveva segnalato ancora una volta lo stato di degrado in cui versano i civici 72, 74 e 76 di via Papa Giovanni XXIII. Una denuncia lucida, che parlava di strutture fatiscenti, incuria amministrativa, mancanza di attenzione da parte delle istituzioni.
Una delle poche risposte concrete era stata la rimozione, da parte della polizia, dell’auto dell’assegnatario dell’alloggio, abbandonata da mesi sotto casa. Ma l’auto era solo l’esterno. Dentro, le cose continuavano a peggiorare. L’assenza di controlli prolungata nel tempo ha favorito l’instaurarsi di una zona franca. Ed è in quel vuoto che hanno trovato spazio lo spaccio, l’uso di sostanze, la disperazione.
Ora si conta una vittima. Un’altra. Un volto senza nome per molti. Un trentenne la cui morte, se confermata l’ipotesi dell’overdose, aprirà un nuovo filone investigativo: quello sulla provenienza delle sostanze, sui canali di approvvigionamento, sui soggetti che potrebbero avergliele cedute. Perché se una dose uccide, chi la consegna è corresponsabile. E potrebbe essere chiamato a rispondere di morte come conseguenza di altro reato.
Nel frattempo, Bellavista continua a fare i conti con la realtà. Una realtà in cui gli alloggi popolari, da soluzione al disagio abitativo, si trasformano in luoghi dove la marginalità si consuma giorno dopo giorno, dove si muore nel silenzio, dove anche una chiave di casa può diventare il lasciapassare per un destino segnato.
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