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Cronaca

“Vuoi i soldi? E io ti rovino”: chiesti sei anni per il colonnello Vagnoni. Oggi in aula a Torino, le accuse di concussione

Processo al colonnello dei Carabinieri: accuse di concussione scuotono la fiducia nelle istituzioni

Colonnello sotto accusa: pagamenti in nero e debiti con le suore

Il Colonnello

Un’aula silenziosa, pesante, affollata di giornalisti e avvocati. Si è svolta oggi, lunedì 9 giugno 2025, al tribunale di Torino, un’udienza chiave del processo che vede imputato il colonnello dei Carabinieri Bernardino Vagnoni, ex comandante provinciale dell’Arma ad Asti e Torino, accusato di concussione nei confronti di due imprenditori. Sul banco degli imputati siede un ufficiale che, per anni, ha rappresentato lo Stato. Ma che oggi, secondo la Procura, avrebbe abusato del proprio ruolo per non pagare dei lavori eseguiti nella sua villa.

L’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Giovanni Caspani, ha chiesto una condanna a sei anni di reclusione, ritenendo provata la colpevolezza del colonnello in un caso definito “grave e allarmante”. A raccontare i fatti, con dettagli che hanno fatto rabbrividire anche i presenti più navigati, sono stati due artigiani: un idraulico e un escavatorista. I due avevano realizzato lavori di ristrutturazione — tra cui una piscina — nella villa di Vagnoni a Revigliasco, ma non sarebbero mai stati pienamente retribuiti. La cifra mancante: circa 34 mila euro.

Secondo il capo d’imputazione, l’allora comandante, dopo aver saldato solo una parte delle fatture, avrebbe minacciato i due artigiani, dicendo: “Se ti azzardi a venire a chiedere quei soldi, ti mando la Guardia di Finanza e ti faccio passare i guai”. Parole che sarebbero state pronunciate — secondo i testimoni — con tono intimidatorio, proprio facendo leva sulla sua posizione. Per la Procura, è concussione: uso indebito dell’autorità per ottenere un vantaggio personale, a danno di chi si trovava in una posizione di debolezza contrattuale e psicologica.

L’udienza odierna ha visto la deposizione di nuovi testimoni e un lungo interrogatorio dello stesso Vagnoni, che ha respinto ogni accusa, sostenendo che i lavori erano stati eseguiti “male e fuori contratto”, e che le somme contestate erano frutto di “sovrafatturazioni e difetti di esecuzione”. Il colonnello, difeso dall’avvocato Pierpaolo Rivello, ha parlato di una “campagna diffamatoria” orchestrata contro di lui e ha ribadito più volte di non aver mai minacciato nessuno.

Ma l’accusa ha ribattuto con forza. Il pm Caspani ha citato una serie di elementi: messaggi, testimonianze, e una telefonata registrata — già agli atti — che secondo l’accusa mostra il vero tono del rapporto tra Vagnoni e i due artigiani. “Un uomo in divisa non può permettersi neppure il sospetto di simili condotte”, ha detto in aula il magistrato, durante la requisitoria.

Il procedimento ha anche visto la prescrizione di un secondo capo d’imputazione, relativo a presunti episodi di tentata concussione risalenti al 2010-2011. Tuttavia, secondo la Procura, ciò non toglie gravità al quadro attuale: “È il presente che pesa, non il passato che decade per legge”.

Il processo ha suscitato clamore, non solo per il nome dell’imputato, ma per il ruolo che Vagnoni ha ricoperto nell’Arma: ufficiale di lungo corso, stimato e decorato, aveva diretto comandi sensibili in Piemonte. La sua figura, fino a pochi anni fa, era considerata un riferimento nell’ambito della sicurezza pubblica. E ora si trova a dover difendere la propria reputazione in una delle aule più austere del Palazzo di Giustizia.

La sentenza è attesa nelle prossime settimane. Intanto, l’udienza odierna lascia un’ombra inquietante sulla linea che separa l’autorità pubblica dall’abuso di potere. Un confine che, se valicato, rischia di far crollare la fiducia nelle istituzioni. Anche — e soprattutto — quando a varcarlo è chi ha giurato di proteggerle.

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