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Cronaca
06 Maggio 2025 - 14:42
Piero Speranza
È morto nel silenzio della notte, nella casa di famiglia a Candia Canavese, Piero Speranza, 65 anni. La notizia si è diffusa rapidamente in tutto il Canavese, lasciando dietro di sé uno strascico di domande, sussurri e memorie. Perché Speranza non era solo un volto conosciuto. Era un nome. Un nome che evocava intrighi, processi, inchieste, ma anche locali alla moda, serate sul lago, ambizioni imprenditoriali finite spesso nella polvere.
Piero Speranza era il Just Blu di Bollengo, o almeno questo pensavano in molti. Formalmente non risultava proprietario della struttura, ma era lui – da sempre – il cuore pulsante di questo luogo: un circolo ricreativo, diventato negli anni simbolo di feste e trasgressione, ma anche epicentro di indagini della Guardia di Finanza e della Direzione Distrettuale Antimafia.
Negli ultimi mesi, Speranza non era più un uomo libero. Era imputato a Torino per concorso esterno in associazione mafiosa, nel maxi-processo nato dall’inchiesta "Cagliostro", che aveva portato alla luce l’esistenza di una "locale" di ’ndrangheta radicata tra Ivrea e Chivasso, con ramificazioni fino al cuore della Calabria, a Sinopoli.
Secondo la Procura, Speranza avrebbe favorito l’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto economico locale, offrendo canali per reinvestire denaro sporco, contatti e appoggi logistici. A difenderlo nel procedimento era l’avvocato Michele De Carolis. L’udienza più recente lo aveva visto comparire in videocollegamento dal carcere di Verona, dove era detenuto in seguito ad altre vicende giudiziarie.
Quella di Speranza è stata una vita vissuta al limite, sempre in bilico tra legalità e cronaca. Nel suo passato, una sfilza di procedimenti giudiziari: dalla truffa milionaria nel mondo dell’arte, per cui nel 2016 era stato indagato per aver sottratto preziosi dipinti a un collezionista con la scusa di fantomatiche fideiussioni, fino a una condanna a Termoli per minacce e violazione di domicilio, legata a un episodio violento in un hotel. Tutti episodi che avevano costruito attorno alla sua figura un alone torbido, alimentato da mezze verità, smentite e relazioni pericolose.
Ma a segnare il suo nome nella memoria collettiva è stato soprattutto il Lago Just Blu. Un luogo che era diventato simbolo di un certo Canavese di provincia in cerca di divertimento, ma anche – secondo gli inquirenti – crocevia di affari opachi. Feste non autorizzate, sequestri, denunce, un incendio sospetto, il taglio delle gomme a decine di auto parcheggiate. E poi ancora, una parata di vip, eventi sfarzosi, una continua rincorsa tra sogno e realtà, tra soglia della legalità e retate notturne.
Speranza era l’uomo delle grandi entrate in scena. Ogni volta che sembrava sparire, tornava. Anche quando il Just Blu era sotto sequestro, lui c’era.
"Sono solo un collaboratore", dichiarava ai giornalisti. Ma tutti lo vedevano come il patron, il padrone, l’uomo con la chiave in mano. La sua personalità magnetica – per alcuni affascinante, per altri inquietante – aveva fatto di lui una figura difficile da ignorare. E ora che non c’è più, resta un’assenza ingombrante.
Sulla sua morte, avvenuta nella notte tra il 5 e il 6 maggio, non sono trapelate notizie particolari. Si è spento nella casa di famiglia, a Candia Canavese, lontano dai riflettori, lontano da quella mondanità che aveva tanto cercato, e da quell’aula di tribunale dove si stava giocando l’ultima partita della sua vita.
Ora il processo proseguirà senza di lui. Le carte giudiziarie, le intercettazioni, le accuse resteranno agli atti. Ma il nome di Piero Speranza continuerà a galleggiare, proprio come quel suo lago, tra ricordi, leggende e verità a metà. Per qualcuno resterà un visionario. Per altri, un truffatore. Per altri ancora, un uomo che sapeva troppo e che è rimasto incastrato nel proprio personaggio.
Insomma, una vita da romanzo criminale, finita tra le mura silenziose della casa in cui era nato. Senza rumore. Ma lasciando l’eco.
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