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Cronaca
23 Aprile 2025 - 16:33
Nella foto Giuseppe Summa del Nursind
Succede ancora. E ancora. Cambiano i giorni, cambiano i volti, cambiano i nomi dei feriti. Ma la sostanza non cambia mai. Mercoledì 23 aprile 2025, nel Pronto Soccorso dell’Ospedale di Ivrea, si consuma l’ennesima aggressione ai danni del personale sanitario. Un uomo, in evidente stato di agitazione, ha perso il controllo e si è scagliato contro due Operatrici Socio Sanitarie in servizio. Una è stata spintonata contro una vetrata – che per pura fortuna ha retto all’urto – mentre l’altra è stata afferrata per un braccio e trascinata via con violenza, riportando contusioni con una prognosi di cinque giorni. Sono intervenute le forze dell’ordine, Carabinieri e Polizia Locale, che hanno bloccato l’aggressore, un uomo di 46 anni, e lo hanno denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. La solita trafila. La solita cronaca. La solita indignazione di facciata.
Ma questa volta i sindacati non ci stanno più. E lo dicono a chiare lettere. Il Nursind, attraverso il suo segretario territoriale Giuseppe Summa, alza la voce con una dichiarazione che sa di esasperazione.
“Siamo nuovamente costretti a segnalare - commenta - l’ennesima aggressione nei confronti del personale sanitario e continueremo a farlo nella speranza che le aziende mettano in atto tutto quanto sia possibile fare, cosa che oggi non ci pare sia ancora avvenuta”.
E poi l’affondo: “Il problema, seppur complesso, non giustifica che non si debba affrontare con determinazione, ricordando sempre che il datore di lavoro è responsabile della sicurezza dei lavoratori”.
Non è solo una denuncia. È una richiesta accorata, l’ennesima, per convocare quel tavolo sulla sicurezza che, sulla carta, esiste dal 1° marzo 2024, ma che in realtà è rimasto lettera morta.
“A livello locale abbiamo più volte sollecitato tavoli con tutti gli attori coinvolti per una risposta strutturata ma ancora niente”, insiste Summa. E a livello regionale? Peggio: “Sono state ripartite risorse per mettere in atto azioni e identificare strumenti deterrenti e di protezione del personale, ma non sappiamo come, quando e come saranno utilizzate”.
Dal canto suo, l’ASL TO4, in una nota ufficiale, condanna l’accaduto e cerca di difendere il proprio operato.
“Diversi interventi sono già stati realizzati - si legge nel comunicato - tra cui la localizzazione del servizio di vigilanza accanto al punto Triage e l’intensificazione dei passaggi delle forze dell’ordine presso le strutture più critiche”.
E ancora: “La nuova Direzione Generale, insediata a gennaio, ha previsto la presenza di guardie armate come ulteriore strumento deterrente; la gara d’appalto è in corso sulla piattaforma Consip-Sdapa, e si prevede l’aggiudicazione entro l’estate”.
Bene. Ma nel frattempo chi protegge gli operatori? Le parole? Le promesse? Le telecamere?
Dura e diretta anche la posizione della FSI USAE, che in un altro comunicato mette nero su bianco tutta la propria indignazione. Il segretario territoriale Salvatore Orifici attacca senza mezzi termini: “L’intervento delle Forze dell’Ordine è indispensabile, ma non può essere immediato, e quando raggiungono l’ospedale il reato è già stato commesso”.
Per la FSI USAE, l’unica risposta credibile è l’introduzione immediata delle Guardie Particolari Giurate negli ospedali e nei poliambulatori, come già avviene a Torino. E non si fermano qui. Propone anche una riorganizzazione radicale del pre-triage con la figura dell’OSS Assistente di Pronto Soccorso, già sperimentata con successo in Lombardia, capace di accompagnare i pazienti e i familiari nel delicato momento dell’accoglienza e della comunicazione, spesso origine di tensioni e incomprensioni.
Ma non c’è solo la rabbia. C’è anche la denuncia tecnica. La FSI USAE richiede – per l’ennesima volta – alla direzione dell’ASL TO4 l’estratto del documento di valutazione dei rischi riferito al rischio aggressione e lavoro solitario, così come previsto dal D.Lgs. 81/08 sulla sicurezza e avverte: “Laddove le risposte non dovessero arrivare, la FSI USAE denuncerà con estrema fermezza le omissioni che continuano ad esporre i lavoratori ai rischi di aggressione sempre più frequenti”.
E intanto i feriti si contano. Le denunce si sommano. I tavoli restano chiusi. Il personale, sempre più spesso, entra al lavoro con l’angoscia nel cuore e la paura negli occhi. Perché “l’inasprimento delle sanzioni non può essere l’unico rimedio”, come dice giustamente Orifici. E perché la sicurezza non può essere garantita con i tempi della burocrazia. Le parole, i bandi, le promesse non bastano più. Servono azioni concrete, immediate, efficaci.
E serve anche ricordare, come fa Giuseppe Summa, che “il datore di lavoro è responsabile della sicurezza dei lavoratori”. Un principio semplice, lineare, che sembra però perdersi nei meandri di riunioni mai convocate, gare mai concluse, strategie mai condivise. E così, con cadenza quasi regolare, si finisce sempre per parlare di episodi magari differenti, ma che portano allo stesso risultato: aggressioni e violenze nei confronti del personale.
Cosa deve ancora uccedere prima che qualcosa si muova davvero? Quante lettere dovranno essere inviate, quante relazioni dovranno essere scritte, quanti comunicati dovranno essere diffusi? Quanti operatori dovranno essere colpiti, spintonati, feriti, traumatizzati, prima che si dica basta in modo serio, convinto, tangibile?
Per ora, c’è solo la certezza che tutto questo non finirà domani. Che un’altra aggressione arriverà. Che un altro comunicato sarà scritto. Che un altro operatore dovrà stringere i denti. E che nessuno, ancora una volta, potrà dire di essere sorpreso. Perché l’avevamo detto. E lo continueremo a dire. Ma non basta più.
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