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31 Marzo 2025 - 21:41
Scoppia la polemica a Torino dopo il corteo pro Palestina tenutosi domenica 30 marzo, in coincidenza con la fine del Ramadan. Durante la manifestazione, che ha fatto seguito alla preghiera collettiva organizzata sotto la Tettoia di Parco Dora, alcuni partecipanti hanno dato alle fiamme fotografie della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, al grido di “Allahu Akbar”.
L’episodio ha immediatamente innescato un’ondata di reazioni, in particolare da parte di Fratelli d’Italia, che denuncia uno "sfregio alle istituzioni" e punta il dito contro il Partito Democratico, accusato di silenzio complice.
A rompere per primo il silenzio è Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei e il Pnrr, che parla di “spettacolo indegno” e “gesto grave e violento” consumatosi “sotto lo sguardo indifferente del sindaco Stefano Lo Russo”. Secondo Foti, l'episodio è l'ennesimo di una lunga serie che coinvolge “i soliti gruppi di antagonisti e centri sociali torinesi”. E aggiunge: “Ma di quale tolleranza parliamo? Di quella che permette di incendiare le piazze alimentando un clima di odio sempre più pericoloso?”
Sulla stessa linea anche Paola Ambrogio, senatrice di FdI, che esprime “ferma condanna” e polemizza con Lo Russo: “È questa la pacificazione cui si riferisce?”. A rincarare la dose è Alessandra Binzoni, vicecapogruppo di FdI al Consiglio regionale del Piemonte, che parla apertamente di “islam radicale”, citando le “tante donne presenti segregate sotto i burqa”, e accusa il Pd e le femministe di sinistra di silenzio colpevole: “In assenza di rispetto per la donna non può esserci vera inclusività”.
Raffaele Speranzon, vicepresidente vicario dei senatori di Fratelli d’Italia, definisce l’episodio “una plastica raffigurazione del buonismo immigrazionista”, mentre Lucio Malan, capogruppo FdI al Senato, lo considera “di una gravità inaudita” e invoca più regole sull’immigrazione: “Chi entra in Italia deve rispettare le sue istituzioni”.
Sul fronte istituzionale, parole dure arrivano anche da Ignazio La Russa, Fabio Rampelli, Daniela Santanchè, Paolo Zangrillo e Lorenzo Fontana. Quest’ultimo sottolinea: “Bruciare foto significa inneggiare alla violenza, è un gesto lontano da qualsiasi forma di espressione democratica”.
Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, accusato a più riprese di ambiguità, ha condannato l’episodio: “Gesti inqualificabili e violenti. Nulla a che vedere con la preghiera per la fine del Ramadan, che si è svolta in modo pacifico e partecipato”. Lo Russo esprime “solidarietà alle presidenti Meloni e von der Leyen” e ribadisce che “manifestare le proprie idee è sempre legittimo, ma non attraverso comportamenti violenti”.
Nel frattempo, la Digos ha identificato un primo responsabile: un giovane di 25 anni, di origini nordafricane, immortalato mentre partecipa al rogo delle immagini. La polizia sta analizzando filmati e testimonianze per identificare altri eventuali responsabili.
A smontare le ricostruzioni che associano la preghiera collettiva al corteo è il Coordinamento dei centri islamici di Torino, che in una nota si dissocia apertamente: “Condanniamo ogni forma di violenza. È falso che i 30mila presenti alla preghiera abbiano partecipato al corteo: i dati ufficiali parlano di 200-300 persone”. E aggiungono: “La nostra comunità crede nel dialogo e nel rispetto reciproco. Chiediamo a stampa e politici di non confondere due eventi distinti”.
Lo scontro politico, però, è ormai esploso. La destra cavalca l’indignazione e accusa la sinistra di ambiguità. Il Pd, per ora, resta in silenzio. Ma l’episodio, divenuto virale sui social, promette di agitare ancora a lungo le acque torinesi e non solo. In ballo non c’è solo la condanna di un gesto violento, ma la tenuta stessa di un fragile equilibrio tra sicurezza, libertà d’espressione e convivenza tra culture.
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