Cerca

Cronaca

“Spaccategli le mani, è frocio”: la condanna del padre-orco

Il chirurgo torinese Fabrizio Obbialero perseguitato dal padre per anni: insulti, aggressioni, un sicario assoldato per distruggergli la carriera. Ma non si è mai spezzato. Ora la giustizia gli dà ragione.

Un padre contro il figlio: la drammatica storia di Fabrizio Obbialero e la sua lotta per la libertà personale

È sopravvissuto a tutto. Alle parole, ai pugni, ai silenzi. Alla vergogna di essere odiato da chi avrebbe dovuto proteggerlo. È sopravvissuto persino a un sicario. Fabrizio Obbialero, chirurgo plastico torinese, oggi ha 48 anni, uno studio in borgata Lesna a Grugliasco, e una ferita che la legge, forse per la prima volta, ha saputo chiamare con il suo vero nome: danno biologico da persecuzione omofoba paterna.

Perché sì, è stato proprio il padre. Non un passante, non un estraneo, non un commentatore su Facebook. Il padre. Quell’uomo che per anni ha fatto della sua omosessualità un bersaglio, un crimine, una colpa da estirpare a qualunque costo. Anche col sangue.

Non gli bastarono gli insulti. Non gli bastarono le bugie, le denunce, le calunnie sui social (“Il Profeta si fa le canne”, scriveva pubblicamente su Facebook). Non bastò neppure la violenza fisica inflitta alla madre di Fabrizio – colpevole solo di difendere suo figlio – né le aggressioni al compagno. A un certo punto, l’uomo – oggi 80enne – assoldò un sicario. E l’ordine era preciso: “Pedinalo. Spezzagli le mani. Deve smettere di operare”.

E se oggi raccontiamo questa storia, è solo perché quell’uomo, pagato per agire, non lo fece. Guardò il medico. Lo seguì. E alla fine si tirò indietro. Avvisò persino Fabrizio. Forse per umanità, forse per orrore. Di certo perché in quella storia la bestia non era la vittima. Ma chi l’aveva mandata.

Il giudice Marco Bottallo, del tribunale civile di Asti, ha messo la parola giustizia il 22 marzo scorso. Ha condannato il padre a risarcire il figlio con 17 mila euro, per “danno biologico” conseguente a una vita di vessazioni, stalking, denigrazione pubblica, odio sistematico. Gli ha riconosciuto un’invalidità del 9%. Cifre fredde. Ma dietro ci sono notti insonni, sedute di psicoterapia, depressione, ansia, ricordi che mordono.

Perché questa storia non comincia in un’aula di tribunale. Comincia in una casa. Una casa qualunque, da qualche parte in Piemonte. Anni fa. Quando Fabrizio era solo un ragazzo. Quando suo padre, vedendolo rifiutare il calcio, sentenziava con disprezzo: “O sei un calciatore, o sei un fr…o”. Non era ironia. Era il seme dell’odio.

Poi arrivò il momento del coming out. Non fu un atto politico, ma un gesto d’amore. Sua madre era gravemente malata. Fabrizio decise di dirle la verità. “Lei capì subito. Non giudicò. Non tremò. Mi guardò e basta. Con gli occhi di una madre.”

Ma lo disse anche al padre. E lì, qualcosa si spezzò. Non in Fabrizio. In quell’uomo. Che da quel momento cominciò una guerra personale contro il figlio. Una guerra sporca, senza tregua. Non c’era solo l’omofobia: c’era l’ossessione di distruggere.

Lo insultava in pubblico. Gli tagliava le gomme dell’auto. Lo denunciava per reati mai commessi. Arrivò a vietargli di organizzare la festa di compleanno della madre: “Non voglio che i miei parenti vedano la tua frociaggine”, disse. Parole precise, nette, impossibili da confondere.

E nel frattempo, la madre si spegneva. Anche a causa di quell’ambiente avvelenato. “L’ha logorata, giorno dopo giorno. La malattia faceva il suo corso, ma lui non perdeva occasione per umiliarla, per farla sentire colpevole di amarmi. L’ha portata alla morte”, racconta oggi Fabrizio.

La goccia che ha spinto la giustizia ad agire è arrivata nel 2018, quando il piano del sicario venne alla luce. La vicenda penale si chiuse nel 2020, con un patteggiamento a due anni per lesioni aggravate e stalking. Ma la ferita rimaneva aperta. E oggi, con la sentenza civile, arriva un primo – simbolico – risarcimento.

Non è abbastanza, certo. Diciassette mila euro per una giovinezza negata, per una carriera minacciata, per una madre strappata via a colpi di odio. Ma è qualcosa. È un riconoscimento. È un precedente.

Lo sa bene l’avvocato Maximiliano Bruno, che ha seguito il medico in questa lunga battaglia. “È una storia vergognosa, imbarazzante. Soprattutto perché accade tra padre e figlio. Ma oggi può diventare un caso scuola. Una sentenza che farà giurisprudenza. Una breccia nella muraglia dell’omertà familiare”.

E mentre la giustizia comincia a parlare, il compagno di Fabrizio non si arrende: anche lui vittima, anche lui aggredito, anche lui invisibile. Per ora non ha ottenuto nulla. Ma farà appello. Perché l’amore, quello vero, non si arrende mai.

Oggi, Fabrizio continua a operare. Con quelle mani che nessuno è riuscito a spezzare. Continua a curare, a vivere, ad amare. E in ogni gesto, in ogni bisturi impugnato, c’è un messaggio chiaro: nessun padre, nessun odio, nessuna minaccia potrà più togliermi la mia vita.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori