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06 Gennaio 2025 - 08:46
Simone Zito, Lucia Randone e Virginia Speranza
La foto scattata all’alba del 25 dicembre davanti alla stazione di polizia di Malko Tarnovo racconta una storia che colpisce nel profondo. Simone Zito, Lucia Randone e Virginia Speranza, tre insegnanti torinesi, appaiono provati ma sorridenti, quasi a sfidare l’assurdità di ciò che avevano appena vissuto. È la mattina di Natale, un giorno che dovrebbe rappresentare la celebrazione della famiglia, della solidarietà, del calore umano. Per loro, quest’anno, Natale è stato il freddo di una cella, l’umiliazione delle manette e la consapevolezza di essere puniti per un gesto di pura umanità.
La notte della vigilia li ha visti in una delle situazioni più critiche e controverse che si possano immaginare. Nel buio di un bosco al confine tra Bulgaria e Turchia, una delle rotte più difficili e pericolose per i migranti, si sono trovati a soccorrere tre giovani marocchini ormai al limite delle loro forze. Uno di loro, in particolare, era in condizioni disperate: semi-incosciente, con i piedi congelati e in stato di ipotermia. Le temperature erano glaciali, il gelo si insinuava persino nei vestiti tecnici e nelle scarpe da trekking. Nessuno sarebbe sopravvissuto senza un intervento immediato.
Simone, Lucia e Virginia non sono persone che si tirano indietro. Volontari di lungo corso, avevano scelto di trascorrere il periodo natalizio in Bulgaria proprio per aiutare chi, in quella terra di frontiera, combatte ogni giorno una battaglia per la sopravvivenza. Avevano lasciato la comodità delle loro case torinesi per affrontare un viaggio lungo e difficile, fatto di strade impervie e ore di attesa ai confini. Quando è arrivata la richiesta di aiuto, non hanno esitato. Hanno caricato in macchina cibo, coperte, acqua, tè caldo e una borsa di primo soccorso. L’obiettivo era chiaro: salvare vite.
Li hanno trovati al limite delle forze, rannicchiati tra gli alberi, avvolti in abiti bagnati e sporchi. Il ragazzo in condizioni peggiori non riusciva nemmeno a parlare, il suo corpo era rigido per il freddo. Gli altri due avevano lo sguardo perso, un misto di terrore e disperazione. Simone, Lucia e Virginia si sono messi subito al lavoro: hanno distribuito tè caldo e barrette energetiche, cercando di riscaldarli. Hanno medicato le ferite del ragazzo più grave, avvolgendolo in coperte termiche e stringendolo tra le braccia per impedirgli di perdere ulteriore calore corporeo.
Ma il loro intervento non è passato inosservato. La polizia bulgara è arrivata poco dopo, e con essa sono iniziati i problemi. I poliziotti, più interessati a intimidire che a soccorrere, hanno urlato ordini, chiesto documenti e trattenuto tutti sul posto per ore. Ai tre insegnanti non è stato permesso di proseguire né di garantire il trasferimento immediato dei migranti in un luogo sicuro. La situazione è degenerata: mentre i giovani marocchini tremavano per il freddo, la polizia si rifiutava persino di farli salire sulle auto di servizio per ripararsi. Quando Simone ha chiesto di lasciare che il ragazzo in condizioni più critiche si riscaldasse, la risposta è stata una risata cinica e una provocazione: “Se ci tieni, dagli la tua giacca”.
Dopo ore di tensione, è arrivata la decisione che ha cambiato il corso della serata. Simone, Lucia e Virginia sono stati arrestati. Le accuse? Oscure, mai chiarite ufficialmente. I loro documenti sono stati requisiti, la loro auto perquisita a fondo. Due di loro sono stati ammanettati e condotti alla stazione di polizia di Malko Tarnovo, dove li attendeva una notte che difficilmente dimenticheranno.
La cella era una stanza spoglia, sporca, con una finestra senza infissi che lasciava entrare il freddo pungente della notte. Le condizioni erano al limite della dignità umana: sedie rotte, pavimento gelido e un bagno che definire fatiscente sarebbe un eufemismo. Quando hanno chiesto di utilizzare i servizi igienici, sono stati condotti in un sotterraneo, lungo un corridoio buio con pesanti porte di metallo chiuse da lucchetti. Solo alla fine del corridoio si trovava una latrina, un buco nel pavimento circondato da escrementi e rifiuti. Anche in quel momento, un poliziotto li guardava sorridendo, un sorriso che gelava più del freddo.
Eppure, in tutto questo, i tre insegnanti non si sono lasciati spezzare. Le loro parole, riportate nei giorni successivi, raccontano di una serenità che nasce dalla consapevolezza di aver fatto la cosa giusta. “Siamo abbastanza sicuri di aver salvato tre vite”, ha detto Simone. “E se per farlo abbiamo dovuto passare qualche ora in galera, va bene così. Oggi, in Europa, funziona in questo modo.”
La mattina di Natale, dopo ore di interrogatori senza verbali, minacce e provocazioni, sono stati rilasciati. Nessuna spiegazione, nessuna accusa formale, solo un invito a firmare documenti in bulgaro che hanno rifiutato di sottoscrivere. All’uscita dalla stazione di polizia, li attendeva un’aria gelida e un senso di ingiustizia che bruciava più del freddo. Ma anche la consapevolezza di aver compiuto un gesto straordinario in una notte che molti trascorrono al caldo delle proprie case.
La loro storia ha fatto il giro del mondo. A Torino, la comunità si è stretta intorno a loro, lodando il loro coraggio e condannando l’assurdità di un sistema che criminalizza la solidarietà. Sui social media, le loro parole sono state condivise migliaia di volte, diventando il simbolo di una battaglia più grande.
In una società che erige muri e alza barriere, Simone, Lucia e Virginia ci ricordano che l’umanità non conosce confini. La loro notte di Natale, passata in una cella fredda e sporca, illumina una verità spesso dimenticata: la solidarietà è un atto rivoluzionario. E mentre i tre ragazzi marocchini che hanno salvato continuano il loro viaggio verso un futuro incerto, c’è qualcosa di certo: in quella notte, sotto il cielo gelido della Bulgaria, qualcuno ha scelto di non voltarsi dall’altra parte.
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