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Cronaca

Ndrangheta: prima bevono il sangue e poi organizzano la spedizione per ucciderlo

La guerra di mafia si chiude con una condanna a 30 anni

Ndrangheta: prima bevono il sangue e poi organizzano la spedizione per ucciderlo

Operazione Platinum Dia

Uno sgarro alla ‘ndrangheta pagato con la vita quarant’anni dopo: questa fu la fine di Giuseppe Gioffrè, pensionato 77enne ucciso a colpi di pistola a San Mauro Torinese l’11 luglio 2004. 

L’ipotesi degli inquirenti ha trovato conferma venerdì nel tribunale di Torino, dove un gup, al termine di un rito abbreviato (in primo grado), ha condannato a 30 anni di carcere uno degli imputati, Giuseppe Crea, 44 anni. 

Giuseppe Crea

A sostenere l’accusa è stata la pm Manuela Pedrotta. Per il secondo imputato si procederà con il giudizio ordinario. Il terzo responsabile, Stefano Alvaro, era finito in manette anni fa ed è già stato condannato per l’omicidio. 

L’omicidio di Gioffrè rimase a lungo un caso irrisolto. Nuove indagini, basate essenzialmente su analisi scientifiche sui reperti dell’epoca, portarono nel 2022 a due arresti. 

Nel 1964 Gioffrè gestiva un negozio di alimentari a Sant’Eufemia d’Aspromonte (Reggio Calabria) e, secondo quanto è stato ricostruito, disturbava le attività commerciali di un clan locale: nel corso di una diatriba finì per uccidere due persone. L’anno seguente, mentre era in carcere, degli sconosciuti gli uccisero la moglie e il figlio. 

Una volta scontata la pena, nel 1976 si trasferì a Torino, dove trovò un lavoro e si risposò. 

Secondo quanto ricostruito dalle indagini, nel 1964 un parente si avvicinò al corpo senza vita di una delle due persone uccise da Gioffrè e ne bevve il sangue: un gesto che simboleggiò una promessa di vendetta.

Una lunga faida conclusasi 18 anni fa, in una calda domenica di Luglio, nel giardinetto condominiale casa, in via Mezzaluna 42. Colpi di pistola e un cadavere per terra. 

Gioffrè fu ucciso sotto casa sua da un commando fuggito poi su una Fiat Uno data alla fiamme in mezzo a un bosco.

Nel pomeriggio un killer lo raggiunse a San Mauro Torinese per ucciderlo: cinque colpi di pistola. 

Giuseppe Gioffrè 77 anni morì sotto casa, sulla panchina del cortile condominiale, dove trascorreva i suoi pomeriggi da pensionato insieme con la moglie. Anche quel giorno era lì, accanto alla donna, poco lontano un gruppo di bambini e ragazzi. Un giovane sui trent’anni entrò nel cortile, raggiunse Giuseppe Gioffrè alle spalle, lo chiamò per aver conferma della sua identità (“È il signor Gioffrè?”), poi la raffica di colpi sotto gli occhi della moglie. Fu proprio lei, infatti, a raccontare tutto ai Carabinieri di San Mauro che intervennero poco dopo su segnalazione di un vicino di casa. Ebbene, il puzzle di questo omicidio si è concluso solo in questi giorni con la condanna di un altro dei responsabili. Un passato lontano quarant’anni quello di Gioffrè. Un’altra vita che aveva tentato di dimenticare, nascondere in fondo ai più segreti ricordi. Ma qualcuno in Aspromonte non aveva dimenticato e nel 2004 lo uccise.

Per caso, pochi mesi dopo il fatto, nel 2004, era stato arrestato il killer, ma mancavano all’appello i due complici che avevamo assistito all’assassinio.

Il caso si è riaperto nel luglio del 2022 con l’arresto di due presunti appartenenti alla cosca Alvaro  “Carni i cani” di Sinopoli (Reggio Calabria).

Si tratta di Paolo Alvaro, 58 anni, originario di Sinopoli, e di Giuseppe Crea, 45 anni, di 

Rizziconi (Reggio Calabria), attualmente detenuto nel carcere di Spoleto. Quest’ultimo è stato condannato a 30 anni, per il secondo si procederà con il rito ordinario.

Le prime indagini, svolte nell’immediatezza dell’omicidio, portarono alla condanna (21 anni di carcere) di Stefano Alvaro, considerato uno dei tre componenti del gruppo di fuoco. 

Nel maggio del 2021 i Ris di Parma si sono serviti di nuove tecnologie informatico-dattiloscopiche per analizzare alcuni reperti trovati vicino all’auto, bruciata, che era stata adoperata per l’agguato. 

La vittima, Giuseppe Gioffrè, fu uccisa nel 2004, quando aveva 77 anni: qualcuno lo avvicinò mentre sedeva su una panchina in via Mezzaluna e gli sparò alla testa.

Nel 1964, quando gestiva un bar-panetteria in Calabria, fu

arrestato per un duplice omicidio dai contorni rimasti misteriosi: si disse che si trattò di un caso di legittima difesa contro due cugini residenti in un paese vicino. 

Pochi mesi dopo, nella notte del 18 gennaio 1965, mentre era in cella, a Sant’Eufemia d’Aspromonte degli sconosciuti fecero irruzione in casa sua, dove la moglie, Concetta Iaria, dormiva con i quattro figlioletti, e spararono con lupare e pistola. La donna rimase uccisa insieme a uno dei bimbi (gli altri tre furono gravemente feriti). 

Una strage preparata con cura: furono tagliati i fili della luce per precipitare la zona nel buio. 

Gioffrè si trasferì in Piemonte nel 1972, lavorava come operaio, si risposò e non fece più parlare di sé. 

L’ipotesi che ha portato all’omicidio di Gioffrè?

Secondo la ‘ndrangheta l’uomo non aveva ancora pagato abbastanza per il suo antico sgarro.

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