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"Vuoi fare la mamma o lavorare?": 30enne cacciata dopo la fecondazione in vitro

La donna, residente in città, ha denunciato il datore di lavoro. Sostiene di essere stata vittima di mobbing e body shaming dal 2019. Avrebbe perso, per questo, anche il feto

Chivasso

Fecondazione in vitro

E' approdata oggi in tribunale a Ivrea la vicenda di una lavoratrice di 30 anni di Chivasso, che ha denunciato l'azienda per la quale lavorava.

Colleghi e dirigenti l'avrebbero sottoposta a mobbing e body shaming quando aveva annunciato di volere iniziare il percorso della fecondazione in vitro.

Lo scorso febbraio la dipendente è stata anche licenziata.

La donna, che oggi è seguita dagli psicologi dell'Asl To 4, assistita dall'avvocato Alexander Boraso di Monteu da Po, ha denunciato l'azienda, chiedendo il risarcimento dei danni e le differenze retributive mai percepite.

Per lo stress avrebbe anche perso il bambino.

E' una vicenda triste quella che ha per sfondo la nostra città.

La donna, impiegata in un'azienda di Chivasso, sarebbe stata una lavoratrice ineccepibile fino a qualche anno fa. 

Poi, tutto è cambiato.

La vicenda è finita questa mattina in tribunale a Ivrea

Il suo avvocato ha spiegato che alla sua assistita sarebbe stato contestato il superamento del totale delle assenze consentite per malattia, sostenendo che sarebbero in realtà stati sbagliati i calcoli perché "nessun giorno di malattia è calcolabile se provocato dalla condotta del datore di lavoro".

Inoltre, secondo il legale, nel computo delle assenze, sarebbero stati inseriti i giorni di ricovero per la fecondazione assistita e per l'aborto, che per legge non devono essere conteggiati.

"Scegli se vuoi fare la mamma o mantenere il posto di lavoro".

La donna sostiene di aver subito pesanti pressioni da alcuni suoi superiori, con battute, messaggi e quelle che per lei sarebbero state minacce nemmeno troppo velate.

Ha raccontato anche che il suo capo filiale sarebbe arrivato al punto da pubblicare sui social network una sua foto mentre era intenta a mangiare una brioche con sotto la scritta: "Mangia che poi che me ne importa?".

Nel suo corposo fascicolo d'accuse, sostiene di essere stata vittima di battute a sfondo sessuale.

E a causa dello stress che avrebbe maturato sul posto di lavoro - al rientro dal periodo di aspettativa e di ferie per la fecondazione assistita è stata trasferita a Torino, in un'altra filiale della ditta - , ha perso il bambino che portava in grembo. 

La situazione, delicatissima, è finita in tribunale a Ivrea. E di lei si occupano gli psicologi dell'Asl To 4.

Intanto la vicenda sta assumendo i contorni di un caso politico-nazionale.

"Intervenga il Governo"

"Troppe donne sono costrette a umiliazioni continue anche per le pressioni di un mondo del lavoro che non riconosce il diritto alla maternità".

Lo dichiara, in una nota, il deputato Marco Grimaldi dell'Alleanza Verdi Sinistra, riguardo al caso della lavoratrice di Chivasso licenziata dopo avere avvisato i dirigenti dell'azienda di volere cominciare il percorso della fecondazione in vitro.

"C'è un cameratismo sessista - denuncia Grimaldi - utilizzato per disfarsi di una lavoratrice che chiede di esercitare quel suo diritto. C'è il disprezzo verso chi sceglie percorsi alternativi per diventare genitore. Se il governo non saprà difendere le donne da questo genere di ricatti, dovrebbe smetterla di parlare di famiglia e di natalità".

"Questa donna - ricorda il deputato - è stata oggetto di insulti e sarcasmo fin dal 2019. Poi è stata trasferita dopo un aborto generato da forte stress emotivo e licenziata per troppe assenze".

"Nel provvedimento - prosegue il vicecapogruppo dei deputati dell'Alleanza Verdi Sinistra - vengono inseriti anche i giorni di ricovero per la fecondazione e quelli per l'aborto che, per legge, non devono essere conteggiati".

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