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Cronaca

Il cimitero della 'Ndrangheta nella campagna del Canavese

Siamo nei boschi della Vauda di Volpiano

Il cimitero della 'Ndrangheta nella campagna del Canavese

Immagine di repertorio

La faida di Volpiano è un oscuro capitolo nella storia delle guerre di mafia, della 'Ndrangheta. Un giallo di cui ha parlato, qualche giorno fa, il Tgr del Piemonte con un servizio ad hoc.

Si tratta di una violenta contesa tra due famiglie 'ndrangheta strettamente imparentate, i Marando e gli Stefanelli, entrambe padrone di un impero nel traffico di droga nel Nord Italia. Il bosco della Vauda, situato proprio a Volpiano, è diventato il simbolo di questa faida, un luogo carico di misteri e di corpi mai ritrovati. "Tutto ha avuto inizio con l'omicidio di Ciccio Marando, il cui corpo bruciato fu identificato soltanto grazie all'anello nuziale che portava al dito, inciso con il nome della moglie Maria Stefanelli", rivela il giornalista Meo Ponte nel servizio del Tg regionale.

Siamo nel maggio del 1996, e quell'anello diventa il legame tra due famiglie: i Marando, con base a Volpiano, e gli Stefanelli, radicati a Varazze. Il boss Pasquale Marando è convinto che suo fratello Ciccio sia stato assassinato dai parenti di sua moglie Maria, probabilmente a causa di loschi affari legati al narcotraffico. Antonino e Antonio Stefanelli, rispettivamente padre e fratello di Maria, accettano di incontrare i Marando nella loro villa a Volpiano. Ma nessuno di loro farà più ritorno. L'autista, Roberto Romeo, riesce a sfuggire alla trappola e, poco dopo, viene ucciso. Tuttavia, prima di morire, riesce a rivelare tutto a Maria Stefanelli.

Anni dopo la fine della faida, è Maria Stefanelli a raccontare ciò che è accaduto nel corso del processo Minotauro. Diventata testimone di giustizia, lotta contro l'organizzazione criminale che l'ha condannata a una vita di segregazione e lutti. "Mi stanno ancora cercando, ma sono sicura - confessa, nascosta dietro un paravento - Non si scherza con i Marando".

Per la carneficina avvenuta nella villa di Volpiano, due condanne sono state emesse in uno dei processi, mentre nell'altro, cinque imputati sono stati tutti assolti dopo un'indagine estenuante. Tra gli imputati c'era Rosario Marando, che nel 2013, durante un'udienza a Torino, interrompe il procedimento dichiarando: "Non ho ucciso nessuno, ma so dove sono sepolti i tre corpi". E così viene accompagnato alla Vauda. "Si aggirava per i prati, sempre nel posto sbagliato, la ricerca proseguì per tutta la mattinata ma si tornò a casa con un nulla di fatto", ricorda Ponte. Un momento surreale, ma non l'unico in questa torbida trama.

Il giornalista Meo Ponte nel servizio del Tgr Piemonte

Ciò che rimane, a distanza di trent'anni dalla faida di Volpiano, è un intrico di violenza e mezzeverità mafiose. La provincia piemontese è diventata il teatro di questa sanguinosa lotta di potere, anche se gli occhi del pubblico sembrano spesso distratti da altre vicende.

"Il non ritrovamento dei cadaveri - conclude Ponte nel servizio del Tgr - è la conferma che in certi ambienti si riesce a penetrare fino ad un certo punto e anche con l’ausilio dei pentiti non si va oltre".

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