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Il caso

Processo Askatasuna: un giornalista in aula per difendere una sua intervista

A Torino si sta svolgendo il maxiprocesso per associazione a delinquere

Chiesta la sorveglianza speciale per il leader 62enne dell'Askatasuna

centro sociale askatasuna

Se un quotidiano dedica un articolo ad Askatasuna, descrivendone le attività, non è per esercitare il dovere di cronaca o per riferire su episodi di interesse pubblico, ma è perché è stato "manipolato" dagli attivisti. Per smentire questa interpretazione dei fatti, operata dalla polizia in un dossier consegnato alla procura, Max Peggio, giornalista del quotidiano La Stampa, ha testimoniato oggi in tribunale a Torino: "L'idea di contattare il centro sociale - ha spiegato - è partita da me. Non ci sono state domande concordate. E quando ho saputo (dell'ipotesi degli investigatori, ndr) mi sono incavolato".

La testimonianza è stata resa su richiesta delle difese nel maxi-processo in cui alcuni militanti di Askatasuna sono imputati di associazione per delinquere. La vicenda risale al 2019. La Stampa aveva dedicato un servizio (corredato da un video apparso sul sito internet) al caso dei militanti di Askatasuna denunciati con l'accusa di avere organizzato delle "ronde antispaccio" e aggredito dei pusher di colore.

Secondo la Digos, il centro sociale tentò con successo di "condizionare" la stesura di un nuovo articolo per evitare "un'emorragia di consensi": ne scaturirono una video-intervista e un pezzo sull'edizione cartacea con dei contenuti che gli investigatori considerarono "eccessivamente sbilanciati". Peggio ha spiegato come era maturata l'idea di un approfondimento di una storia che "per Askatasuna era imbarazzante". "L'idea - ha detto - venne a me. Poi il mio capo dell'epoca mi affidò l'incarico, ma io avevo già preso i contatti necessari per mio conto. Le domande non furono concordate".

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