Nelle scorse udienze del maxiprocesso Rinascita-Scott, che si sta celebrando in Calabria, contro i clan mafiosi del Vibonese, la Dda di Catanzaro ha annunciato un nuovo collaboratore di giustizia.
Si tratta di Domenico Guastalegname, 29 anni, di Vibo, figlio di Antonio, che già due anni addietro aveva avviato il medesimo percorso.
Entrambi, residenti da anni nell'Astigiano, sono stati condannati – unitamente ad altre tre persone - dalla corte di Cassazione, a 30 anni di carcere per l’omicidio di Manuel Bacco, avvenuto il 19 dicembre del 2014 ad Asti nel corso di una rapina. Contestualmente, la procura antimafia ha annunciato il deposito dei primi verbali resi dal giovane pentito.
Le decisioni di una scelta.
Guastalegname aveva chiesto di incontrare il sostituto procuratore antimafia di Catanzaro Antonio De Bernardo tra luglio e agosto del 2022. Il primo colloquio avviene il 15 settembre e dal 28 dello stesso mese il giovane viene ammesso nel programma di protezione con la sua famiglia iniziando il percorso di collaborazione con la giustizia.
Un paio di mesi prima la Cassazione aveva reso definitiva la condanna a 30 anni per l’omicidio di Manuel Bacco nel corso di una rapina finita nel sangue ad Asti.
«Ho deciso di collaborare per dare un futuro diverso ai miei figli, per dare loro una nuova vita», ha affermato in aula, aggiungendo di non aver partecipato alla rapina che portò all’uccisione del tabaccaio di Asti, Manuel Bacco, e accusando invece, il padre Antonio e, soprattutto, Giuseppe Antonio Piccolo: «È lui l’esecutore materiale. Io sono stato accusato di essere stato l’autista, di aver portato sul posto Piccolo ma non era così e lo ho detto in tempi non sospetti anche alla Procura di Asti raccontando la possibile dinamica di quanto accaduto senza venire creduto perché in contrasto con la ricostruzione accusatoria».
Guastalegname ha inquadrato Piccolo come personaggio di spessore della ’ndrangheta etichettandolo come «un malandrino» dei Mancuso, accusandolo direttamente di aver ucciso il barista Manuel Bacco e di non essersi preso le responsabilità del delitto facendo fare «galera a persone innocenti. Una cosa del genere fatta da uno ’ndranghetista è un’infamità».
Come detto, già il padre Antonio, nel gennaio del 2022, aveva saltato il fosso nella primavera dello scorso anno riferendo di numerosi episodi, per lo più attinenti al traffico di sostanze stupefacenti che avrebbe avuto come destinatario anche un gruppo di tifoseria organizzata della Juventus, specificatamente soggetti appartenenti allo storico gruppo “Drughi” per la presunta vendita di droga nell' Juventus Stadium. Sia padre che figlio avevano lasciato Vibo Valentia da tempo e si erano trasferiti nell’Astigiano e non è chiaro – ma può essere plausibile – se a pesare sulla decisione del secondo sia stata proprio la scelta operata dal primo poco più di un anno fa.
La droga e i Drughi.
Le dichiarazioni del neo pentito, sono in molti punti aderenti a quelle del padre Antonio, come ad esempio la circostanza del presunto spaccio all’interno dello “Juventus Stadium” e ai ruoli di Valerio Navarra, Nazzareno e Ivan Colace e Peppone Accorinti, quest'ultimo boss di Zungri, dichiarando che nel 2014 è «venuto ad Asti Nazzareno Colace, il quale tramite mio padre, ebbe un incontro con OMISSIS della tifoseria della Juventus, in quanto volevano vendere stupefacenti nelle tifoserie della Juventus, ciò sarebbe dovuto avvenire anche grazie a mio padre tramite OMISSIS che ha dei contatti con la tifoseria della Juve. Quindi mio padre con Colace e OMISSIS ha avuto un incontro finalizzato a vendere droga allo stadio e presso la tifoseria della Juve. In quel periodo io frequentavo alcuni Sinti, in seguito Colace è stato arrestato in Costa Pulita, quindi mio padre è stato contattato dal figlio Ivan» con cui «si incontrò unitamente a Giuseppe Antonio Accorinti al fine di entrare nel mercato dello spaccio presso la tifoseria della Juventus; questa cosa l'ho saputa da mio padre, al suo rientro dalla Calabria e da Valerio Navarra quando questi è salito ad Asti, verso il 2016» il quale, in rappresentanza di Accorinti, «ha avuto una discussione per colpa mia con i “Drughi” (il tifo organizzato della Juve, ndr) per il prezzo della vendita dello stupefacente da lui portato in Piemonte, insieme a Rocco Cichello, su un autobus, in confezioni sottovuoto, nella plastica trasparente contenuta a sua volta in dei trolley».
Si trattava, racconta il pentito, di 30 kg suddivisi in un paio di pacchi.
«Navarra – aggiunge Guastalegname - doveva vendere tale sostanza ai Drughi e dopo l’incontro con questi ultimi è tornato indietro chiedendomi se qualcuno voleva acquistare la droga perché aveva necessità di piazzarla. Ricordo di aver saputo che Navarra ha incontrato OMISSIS il quale avrebbe dovuto acquistare la droga. La trattativa prevedeva che OMISSIS avrebbe dovuto pagare subito la sostanziata, invece questi voleva prendere tempo per l'acquisto. Il prezzo era fissato ad euro 2.550-3.000 al chilo, questa cosa mi venne riferita sempre da Navarra».
A quel punto Navarra avrebbe chiesto al pentito di individuare qualcuno a cui vendere la marijuana a 2.000 euro al chilo e gli consegnarono uno stock che questi portò ad una persona in contatto con la tifoseria che riferì ai componenti di questa che
«ero stato io a consegnargli lo stupefacente, in ragione di ciò ne è nata una discussione per il prezzo, in quanto Valerio in precedenza prospettò ai Drughi la vendita di droga ad uno maggiore, nonostante la prospettiva fosse di vendergli tutto il quantitativo. Tale fatto è accaduto tra dicembre 2016 e gennaio o febbraio dell'anno 2017».
I problemi con i Pesce di Rosarno.
Sulla problematica del prezzo si sarebbero interessanti anche i Pesce di Rosarno tant’è che «quella stessa sera mio padre con OMISSIS si recò al Mc Donald's per incontrarli. C’era anche Purita che era andato sul posto armato perché c'era tensione con i Drughi che erano dei noti attaccabrighe e provocatori. A tale incontro c'era OMISSIS il quale chiese spiegazioni per le trattative in corso tra noi e il gruppo di tifosi per lo spaccio nello stadio della Juve in quanto anche i Pesce vendevano droga all’interno dell’impianto. In poche parole i Pesce volevano un incontro con Peppone Accorinti al fine di risolvere la vicenda e quindi mio padre contattò Valerio Navarra, con cui concordò un incontro a Pavia, al quale partecipai anche io all’esito del quale Navarra riferì a mio padre che Peppone avrebbe risolto la problematica con i Pesce. Successivamente mio padre, Valerio Navarra, OMISSIS e Nino Purita andarono a Torino per incontrare Savino Pesce, li ho visti io partire dal parcheggio della Coop di Asti. Ho saputo successivamente che chiarirono la vicenda e che Valerio Navarra rimproverò OMISSIS riferendo poi a Pesce di tenere al guinzaglio Stefano. Al ritorno dall'incontro erano tutti più rilassati».
L’ultimo atto della vicenda avrebbe visto il rientro di Navarra in Calabria per «far sistemare tutto a Peppone Accorinti, non ricordo bene, ma mio padre voleva andare da Luigi Mancuso per sistemare la vicenda, comunque in quel contesto Navarra disse a mio padre che la parola di Peppone valeva quanto quella di Luigi Mancuso, questo lo ricordo bene. Dopo alcuni giorni Valerio, dopo aver incontrato Peppone, riferì a mio padre che questi aveva mandato un 'imbasciata a Rosarno e che quindi non avrebbero avuto più problemi per vendere droga all'interno delle tifoserie, in quanto era interessato in prima persona Peppone Accorinti».
di GIANLUCA PRESTIA
l pentito sulla figura del penalista imputato a “Rinascita”
«Con Pittelli il processo si sarebbe sistemato»
VIBO VALENTIA – Sono quattro i verbali del neo pentito Domenico Guastalegname per ora depositati dalla Dda di Catanzaro al processo “Rinascita-Scott”.
In uno di questi, il nuovo collaboratore di giustizia si sofferma sulla figura dell’avvocato Giancarlo Pittelli confermando quanto aveva riferito il padre a suo tempo in ordine alla vicenda del processo per l'omicidio del tabaccaio di Asti, del 19 dicembre 2014: «Con riferimento alla figura di Luigi Mancuso, so che Antonio Piccolo doveva essere scagionato. Lui stesso, oltre ad insistere sul fatto che se avessimo eliminato Sandiano (uno dei testimoni chiave del processo che ha visti condannato Guastalegname padre e figlio, Piccolo e altre due persone a 30 anni, ndr), non sarebbe successo nulla; dopo la sentenza di primo grado ricordo perfettamente che mi disse di non preoccuparmi in quanto in appello avrebbero sistemato tutto il processo con l'avvocato Pittelli».
Dunque, per quanto a conoscenza del collaboratore, tutto doveva essere sistemato ma poi, secondo la nuova gola profonda vibonese, le cose si complicarono
«per via del processo “Rinascita-Scott e questo portò mio padre a collaborare, mettendosi in contatto con la procura di Asti, da cui, tuttavia, inizialmente non ricevette alcuna risposta».
Guastalegname jr. spiega che il nominativo di Pittelli l’ha appreso nel corso di una discussione tra suo padre e Antonio Piccolo, avvenuta «sempre all'interno delle celle del Tribunale di Asti, nel corso del processo per l'omicidio Bacco, durante la quale i due, facevano nuovamente riferimento allo “Zio Luigi ed al fatto che tramite questo avvocato avrebbero potuto sistemare tutto il processo».
Più nello specifico il collaboratore aggiunge di ricordare che «Piccolo stava rinfacciando a mio padre te dichiarazioni che avevo reso nel processo e mio padre gli rispondeva che l’infamità, piuttosto, stava nel fatto che uno come lui, del suo spessore criminale, faceva fare la galera a gente che non c'entrava nulla. Lui gli rispose di non preoccuparsi, che ora le cose si sarebbero aggiustate. Effettivamente, poi, si determinò a rendere delle dichiarazioni spontanee in cui ammise parzialmente i fatti, seppure dichiarando solamente che aveva fatto da palo, per come gli contestava l'accusa, quando invece era stato l'esecutore materiale della rapina e del successivo omicidio di Bacco. Fu in questa occasione che i due discussero del fatto che lo “Zio Luigi” avrebbe messo a Piccolo questo avvocato Pittelli, che avrebbe sistemato il processo».
Guastalegname aggiunge che solo successivamente, alla luce della condanna in primo grado, suo padre, mentre si trovava nel carcere di Vercelli, «rendendosi conto del fatto che ormai fosse chiaro che nessuno avrebbe potuto risolvere diversamente la situazione, decise che era arrivato il momento di sistemare direttamente lui le cose, raccontando tutta la verità all’Autorità giudiziaria».