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Cronaca

Quel video porno diffuso dall'ex fidanzato...

In appello la direttrice dell'asilo e una mamma

Foto a puro scopo descrittivo

Foto a puro scopo descrittivo

Torna al Palazzo di Giustizia di Torino il caso della maestra d'asilo che, nel Torinese, perse il posto di lavoro dopo la divulgazione (avvenuta contro la sua volontà) di un video hard in atteggiamenti intimi.

Oggi si è aperto il processo d'appello alla direttrice dell'istituto, che nel 2021 fu condannata a 13 mesi di reclusione, e a una delle mamme (dodici mesi). Il caso è della primavera del 2018.

Il fidanzato dell'insegnante diffuse le immagini - senza permesso - in una chat dei compagni di calcetto. Secondo la ricostruzione dell'accusa, la giovane fu costretta a dimettersi. In aula la rappresentante della procura generale ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado, sottolineando che "le imputate sono state fortunate", perché i fatti sono precedenti all'entrata in vigore della legge contro il cosiddetto revenge porn e aggiungendo che la maestra "fu messa in mezzo a un tribunale sommario". Di tenore opposto é la ricostruzione delle difese: da parte della direttrice non vi fu alcuna costrizione, mentre la mamma parlò del caso senza intenzione di diffamare o di danneggiare l'insegnante ma, anzi, per proteggerla.  

Incredibile ma vero ancora oggi quel video è uno dei più ricercarti su piattaforme come Pornhub.

Sul caso era intervenuto anche l'ex giocatore di calcio Claudio Marchisio che, via Instagram, aveva difeso a spada tratta l'insegnante. "Giusto per chiarire la questione: "Il video hard della maestra" in realtà si chiama revenge porn. Il revenge porn è un reato, oltre che una terribile violenza. Fare sesso non è un reato (neanche per le maestre). Lei è innocente. Lui un criminale, oltre che uno stronzo. Discorso chiuso", aveva scritto lo sportivo a corredo di una foto in bianco e nero che lo ritraeva con la moglie Roberta Sinopoli. Lo stesso post era apparso sull'account Instagram della signora Marchisio.

La storia

Tutto ha inizio nell’inverno del 2018 quando la ragazza conosce un calciatore dilettante di un paese dell’hinterland torinese. Per gioco lei gli invia un book fotografico di 28 fotografie erotiche e un video a luci rosse. Poi l’amore finisce e gli scatti rimangono nella memoria del telefono del ragazzo che li inoltra sulla chat dello spogliatoio.

Tra queste ce n’è una che riporta il nome e cognome della maestra.  Il 26 marzo del 2018 scopre da un’amica quel che aveva fatto il ex fidanzato. Lo chiama. Gli chiede di cancellare tutto. La situazione sfugge di mano quando a intercettare il materiale erotico è la moglie di un altro calciatore. La donna riconosce la maestra d’asilo del figlio e grida allo scandalo.

Spedisce le foto ad altre mamme e — stando alle accuse della Procura — arriva a minacciare la ragazza di mettere al corrente la direttrice scolastica se avesse sporto denuncia contro l’ex fidanzato. A quel punto la maestra decide di incontrare la direttrice dell’asilo in cui lavora per raccontarle tutto e questa anziché difenderla l’avrebbe invitata a rassegnare le dimissioni per «incompatibilità con il lavoro di educatrice».

Aggiungendo che «se avesse dato spontaneamente le dimissioni», lei «non avrebbe avvisato le altre strutture». Viceversa, «avrebbe avuto un marchio per tutta la vita». 

In un primo momento, la giovane (aveva appena 22 anni) non si scompone. Lo farà di lì a qualche giorno quando la direttrice la convoca e davanti alle colleghe la sottopone ad una terribile “reprimenda” definendola  «svergognata».

Segue un provvedimento disciplinare della scuola.

«Siamo venuti a sapere da alcuni genitori  - scrive la direttrice - che lei è protagonista di alcuni video e foto porno diffuse sui social e questo ha creato malcontento tra i genitori, che minacciano di ritirare i figli da scuola».

A quel punto, «psicologicamente stremata - scrivono in querela i suoi legali Domenico Fragapane e Dario Cutaia - rassegna le dimissioni. Allo stesso tempo, confida che dal processo contro coloro che l’avrebbero offesa potrà emergere in maniera cristallina la plateale lesione dei suoi diritti…”.

Ma le fotografie continuano a circolare e anche una collega di lavoro inoltra le immagini alle amiche.  Nella querela sono anche scanditi i momenti più drammatici di questa storia che ha ingenerato in lei «una profonda frustrazione e angoscia», fino a costringerla a «cambiare abitudini di vita. Deteriorando i rapporti familiari, professionali e sociali».

«Soffro ancora per quello che è accaduto — racconta nei verbali agli atti dell’inchiesta — Il mio ex ha tradito la mia fiducia, mai avrei pensato che mettesse le mie foto su una chat».

Al processo l’ex fidanzato (difeso dagli avvocati Alessandro Dimauro e Pasqualino Ciricosta) si è pentito. Ha risarcito la giovane, ottenendo così il beneficio della messa alla prova: un anno di servizi sociali. Direttrice dell’asilo e mamma «spiona» (assistite rispettivamente da Valentina Zancan e Flavia Pivano), invece, hanno affrontato il dibattimento: alla prima viene imputato di aver obbligato la ragazza alle dimissioni e di averla diffamata spiegando ai genitori dei bambini il motivo del suo addio; alla seconda di aver diffuso le immagini. Il marito di quest’ultima e la collega di lavoro della vittima, invece, hanno scelto riti alternativi.

Dal revenge porn al pettegolezzo. All'epoca dei fatti alcuni siti  tra cui www.rollingstone.it abbiano localizzato la storia a Settimo Torinese conciò innescando una lunga serie di pettegolezzi su chi sia la maestra e di quale scuola si tratti. Per settimane nella città delle penne non si parlò d’altro.

Il reato di "Revenge Porn in Italia: la legge è entrata in vigore dal 9 agosto 2019.

L'introduzione del reato in Italia si deve all'emendamento presentato dalla parlamentare Federica Zanella.

Nelle settimane successive al suicidio di Tiziana Cantone, l'opinione pubblica italiana rivolse la propria attenzione al fenomeno del revenge porn: un disegno di legge che mirava a introdurre l'art. 612-ter del codice penale, "concernente il reato di diffusione di immagini e video sessualmente espliciti" fu presentato da Sandra Savino nel settembre 2016.

Nella XVIII legislatura, Simon Baraldi, un giovane studente universitario, aveva presentato una petizione popolare al Senato della Repubblica in cui si chiedeva l'introduzione del reato di revenge porn nel codice penale italiano e il gratuito patrocinio per tutte le vittime di tale reato. Il 16 luglio 2019 il Senato italiano approva la legge con 197 voti favorevoli e 47 astensioni e nessun contrario. La nuova disciplina, tuttavia, ha già sollevato alcune perplessità applicative tra gli studiosi del settore, specie con riguardo al suo secondo comma.

Alla fine del 2018, viene lanciata dalla sociologa Silvia Semenzin insieme a Bossy, I Sentinelli e Insieme in Rete, una petizione su Change.org con l'hashtag #intimitàviolata per chiedere una legge contro la condivisione non consensuale di materiale intimo. La petizione nel giro di pochissimo tempo raccoglie oltre 100.000 firme (126523) e porta all'inizio di un'intensa campagna politica per far arrivare un disegno di legge in discussione alla Camera. Il 2 aprile 2019, la Camera approva all'unanimità l'articolo 612ter contenuto nel ddl. 'Codice Rosso' che criminalizza la diffusione di materiale sessualmente esplicito senza consenso della persona ritratta.

La legge 19 luglio 2019, n. 69, introducendo nuove disposizioni per la tutela contro la violenza domestica e di genere, prevede sanzioni per il fenomeno, stabilendo all'art. 10 che 《chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro danno. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio». La legge è entrata in vigore dal 9 agosto 2019.

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