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28 anni senza Lady Diana, dall’ultima frase nel tunnel di Parigi agli oggetti della sua “time capsule” che raccontano un’epoca intera

A pochi giorni dall’anniversario, riaffiorano ricordi, testimonianze e simboli della principessa del popolo, tra amore, dolore e battaglie umanitarie

Lady Diana

Lady Diana su uno yacht a Portofino nell'agosto del 1997

Sono passati ventotto anni dalla morte di Lady Diana Spencer, la “principessa del popolo” che il mondo continua a ricordare non soltanto per il suo destino tragico ma anche per la sua capacità di trasformare il ruolo reale in un impegno umanitario senza precedenti. Il 31 agosto 1997, nel tunnel dell’Alma a Parigi, la sua vita si spezzava all’improvviso insieme a quella di Dodi Al-Fayed e dell’autista Henri Paul. A distanza di quasi tre decenni, l’eco di quella notte drammatica non si è mai spento.

Nei giorni scorsi, la sua memoria è tornata al centro dell’attenzione anche per un evento simbolico: la riapertura della “time capsule” del Great Ormond Street Hospital, che Diana contribuì a sigillare nel 1991 insieme a due giovani pazienti di cui era presidente onoraria. Dentro lo scrigno sono stati ritrovati oggetti che raccontano un’epoca: una copia del Times, un CD di Kylie Minogue, un televisore portatile a batterie, una calcolatrice solare, alcune monete, semi d’albero e una fotografia della stessa Diana. Piccoli simboli scelti con cura, che oggi assumono un valore ancora più forte perché rivelano la sua attenzione per i temi che oggi consideriamo centrali: il rapporto tra tecnologia, sostenibilità e futuro.

Il ricordo della principessa resta vivo anche nelle immagini che hanno segnato la sua vita pubblica. La celebre foto del 1997 in cui Diana, in costume azzurro, è seduta sul trampolino dello yacht di Mohamed Al-Fayed, allora patron del grande magazzino Harrods, è stata per anni interpretata come un’istantanea rubata dai paparazzi. Solo più tardi si è saputo che quello scatto fu in realtà concordato, un modo con cui Diana volle mostrare al mondo un’immagine di sé serena, al fianco di Dodi. Ma dietro l’apparente tranquillità, la sua vita rimaneva segnata da un dolore costante, da amori complicati e da un’attenzione mediatica ossessiva.

Tra le sue relazioni più intense, quella con il cardiochirurgo pakistano Hasnat Khan, che lei stessa avrebbe definito “il più sincero della mia vita”. Un legame profondo, ostacolato però dalla riservatezza del medico e dall’opposizione della sua famiglia. Una storia che Diana avrebbe voluto trasformare in matrimonio, ma che restò irrealizzabile.

Quella notte di agosto del 1997, quando la Mercedes si schiantò contro un pilastro del tunnel a oltre 100 chilometri orari, Diana non morì sul colpo. Il sergente dei vigili del fuoco Xavier Gourmelon, uno dei primi soccorritori arrivati sul posto, ha raccontato al Daily Mail il momento in cui la principessa, ferita ma cosciente, gli rivolse le sue ultime parole: “Oh mio Dio, cosa è successo?”. Gourmelon ricorda di averle stretto la mano per tranquillizzarla, mentre i colleghi cercavano di liberare Dodi dalle lamiere e un medico prestava le prime cure.

Il medico fuori servizio Frédéric Mailliez, che passava in auto per il tunnel, descrisse Diana come “una donna bellissima, seduta sul pavimento nella parte posteriore, senza gravi ferite al volto”. Dopo averle detto in inglese che era un medico, cercò di rassicurarla mentre arrivavano le ambulanze. Trasportata d’urgenza all’ospedale Pitié-Salpêtrière, i tentativi di rianimazione da parte del dottor MonSef Dahman si rivelarono inutili: il cuore della principessa smise di battere nelle prime ore del 31 agosto.

Il mondo allora si fermò. Le indagini ufficiali conclusero che la tragedia fu provocata dall’alta velocità e dallo stato di ebbrezza del conducente, aggravati dalla persecuzione dei paparazzi. Ma le teorie e i sospetti non si sono mai completamente dissolti.

Eppure il mito di Diana non nasce solo dal mistero della sua morte. È la sua vita a rendere immortale la sua immagine. Fu lei a rompere i tabù sull’HIV stringendo le mani ai malati quando ancora era un gesto che spaventava, a denunciare il dramma delle mine antiuomo camminando tra i campi minati dell’Angola, a trasformare la monarchia inglese mostrandola umana, vicina alla gente.

Per questo, oggi, il suo ricordo non appartiene soltanto alla cronaca di un destino interrotto, ma alla storia di una donna che scelse di usare la propria popolarità come arma per cambiare il mondo. Una donna che, ancora adesso, continua a parlare attraverso i ricordi, le battaglie, i gesti e persino quei piccoli oggetti custoditi in una capsula del tempo.

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