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21 Ottobre 2020 - 10:03
Il Piemonte “ha puntato i piedi sulle chiusure dei locali alle 24, perché siamo convinti che il problema non siano i ristoranti, o i parrucchieri, ma l’assembramento di fronte ai locali nelle strade e nelle piazze. Siamo contenti sia andata così”.
Il governatore Alberto Cirio si dice soddisfatto delle misure contenute nell’ultimo Dpcm per far fronte all’emergenza Coronavirus. “Abbiamo lavorato tutto sabato e domenica per concertare i contenuti del Dpcm - spiega -, di solito ci arrivava un’ora prima di essere firmato per le osservazioni invece questa volta ne abbiamo condiviso alcune parti e siamo stati ascoltati”. “Ciò non toglie che fuori bisogna essere più rigorosi”.
Cirio è soddisfatto delle nuove regole che, di fatto, modificano di poco le disposizioni già in vigore.
In buona sostanza, “[...] le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) sono consentite dalle ore 5,00 sino alle ore 24,00 con consumo al tavolo e con un massimo di sei persone per tavolo. E sino alle ore 18.00 in assenza di consumo al tavolo”.
Quindi, dalle 18 sarà possibile soltanto il consumo al tavolo, a cui dovranno in ogni caso sedersi massimo sei persone. E all’esterno dei locali dovrà essere riportato il numero massimo di clienti consentiti all’interno.
Se Cirio è soddisfatto, i baristi e i ristoratori chivassesi, come l’hanno presa? E quanta paura hanno di un nuovo lockdown?
“Il rischio è quello di essere chiusi, pur rimanendo aperti”. E’ Massimo Giuliano, titolare del “Caffè Firenze” di via del Collegio, che stigmatizza bene la situazione che si sta venendo a creare dopo le disposizione dell’ultimo Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. “Se le chiusure servono, ben vengano – prosegue Massimo -: il 9 marzo scorso, ancora prima dell’annuncio della chiusura totale, avevo già messo un cartello con il quale annunciavo una cessazione dell’attività fino al 29 marzo, mi ero autosospeso. Il problema grande è lo sconcerto, la mancanza di chiarezza in quello che la gente può o non può fare e così, nel dubbio, le persone decidono di non uscire, e per noi è come essere chiusi”.
Sulla stessa lunghezza d’onda è Filippo Rotolo, titolare del ristorante “Pesci Vivi”, in corso Galileo Ferraris: “Già nell’ultima settimana abbiamo registrato un calo di presenze e non credo sia un caso, quanto piuttosto una conseguenza dei timori legati all’aumento dei contagi. Certo possono anche consentirci di rimanere aperti, ma se la gente è fortemente sconsigliata ad uscire, allora tanto vale chiudere”. Minori presenze nel locale e il contemporaneo aumento del servizio di “take away” sono i principali indicatori di un mutato atteggiamento da parte delle persone, che si sentono meno sicure ad uscire. “Se arriveremo ad una nuova chiusura, ci organizzeremo con il ‘delivery’, per continuare a lavorare: già oggi abbiamo migliorato il ‘take away’ con le ordinazioni che possono essere fatte direttamente sul nostro sito. Certo un’altra chiusura mette paura e preoccupazione: ai tre mesi di lockdown in qualche modo si è riusciti a sopravvivere, ma un nuovo ‘stop’ dell’attività causerebbe dei danni molto pesanti a tutte le attività del settore della ristorazione”.
“Credo che la chiusura alle 24 sia un po’ una stupidaggine… capisco l’intento del governo, ma così si ottiene solo l’effetto contrario - spiega Giuseppe Sartori del bar “Dòm’S” di piazza della Repubblica -: finché le persone sono sedute, ai tavoli all’interno o nel dehor esterno, sono distanziate e controllate, ma quando li mandi via si crea solo un assembramento in piazza… ragazzi uno attaccato all’altro. Facendoli andare via poco per volta, come succedeva prima, era meno pericoloso. Il problema degli orari non esiste secondo me”.
“Un nuovo eventuale lockdown sarebbe la fine per tutte le nostre attività - aggiunge -. Il governo non aiuta, non arriveranno soldi se non qualcosina a distanza di mesi e nel frattempo non riusciremo a pagare nulla, stipendi inclusi. Tra l’altro si è già notata una paura folle di uscire e sono già calati molto i consumi. Con questa nuova prospettiva siamo veramente a terra. Forse sarebbe meglio chiudere tutti ora per quindici giorni e limitare il lockdown a questo mese, piuttosto che tirare avanti a singhiozzo fino a Natale o a gennaio e poi dover chiudere per forza. Chiudendo a scacchiera il virus ce lo passiamo lo stesso, la gente gira e ci si contagia a vicenda. Per chiudere più avanti sarebbe meglio farlo subito ed evitare la trasmissione del contagio”.
“Per noi è stata una mazzata, lavorando tanto sul serale, la chiusura a mezzanotte ci ha limitato molto e sicuramente ha rappresentato e rappresenta una perdita di fatturato - spiega Fabrizio Vai dell’XXL Cafè di piazza del Castello -. Ma ci è andata ancora bene, visto che non hanno portato la chiusura alle 22, come si vociferava, sarebbe stato molto peggio”.
“Tante persone venivano dalle 23 in poi, ma naturalmente dovendo chiudere alle 24, non potendo servire al bancone, non potendo riempire la piazza ed avendo solo i posti a sedere, si nota la differenza - prosegue -. Abbiamo aumentato lo spazio con il capannone all’esterno, ma si tratta comunque di servire 100 persone invece delle 1000 e passa di prima e poi cerchiamo di collaborare anche con altre realtà, tipo con il ristorante Giachino, preparando i cocktail. Diciamo che si lavoricchia, non si guadagna di certo… Ma si sopravvive, riuscendo almeno a pagare i ragazzi e le spese. Non siamo contenti, ma non possiamo farci nulla e soprattutto c’è chi è messo peggio di noi. Ora speriamo non peggiorino le cose ed aspettiamo che passi”.
Fabrizio Mencagli, titolare dell’omonimo bar/ristorante sulla strada provinciale 590 a Monteu da Po, dice: “Sono arrabbiato…Noi ristoratori continuiamo ad avere restrizioni, norme da seguire e regole da rispettare, ma in quanto a tasse, tributi, scadenze? Chi le paga? Agevolazioni ne vedo ben poche”.
“Ci obbligano a lavorare in un determinato modo - incalza -, ci restringono la potenzialità dell’incasso, ma qualche aiuto ci deve arrivare. Ovviamente per la salute di tutti noi, siamo obbligati a lavorare in questo modo, a volte anche con qualche difficoltà, per far osservare ai clienti tutte le norme richieste, ma è davvero una situazione difficile da gestire. Ho una sala che può tenere fino a 110 persone, ad oggi, calcolando il coefficiente del nuovo Dpcm, ne potrò ospitare all’incirca una ventina.
Come si può pensare che un’attività possa far fronte a tutte le spese, quando si lavora a metà?”.
“Ho paura del futuro e di quello che sarà, soprattutto se non ci supporteranno e se il governo non provvederà in qualche modo a venirci incontro - conclude Mencagli -. Ma spero davvero che si possa tornare presto a lavorare in modo “normale”, non pretendo a pieno regime, ma che ci sia almeno una parvenza di normalità per tutti noi”.
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