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15 Marzo 2018 - 15:37
Pochi mesi fa SMAT ha presentato al Ministero dell’Ambiente il grande progetto dell’Acquedotto della Valle Orco. Costo 206 milioni di euro, l’acquedotto preleverà a Rosone, frazione di Locana, fino a 800 litri di acqua al secondo. Circa 135 km di tubature porteranno l’acqua in molti Comuni dell’Alto e Medio Canavese, fino all’hinterland eporediese e con la prospettiva di raggiungere quello di Torino. Nei numeri precedenti abbiamo riferito le preoccupazioni di alcuni agricoltori chivassesi: la portata dell’Orco diminuirà, e ci sarà meno acqua per irrigare le coltivazioni di Chivasso e di Montanaro, tratta da rogge che in gran parte nascono dal torrente. Oggi pubblichiamo l’intervista ai dirigenti del Consorzio Irriguo Roggia San Marco e Roggia Campagna di Chivasso: il presidente Roberto Albertone e il segretario Riccardo Barbero, che parlano a nome di tutto il Consiglio di Amministrazione.
Quali sono le vostre critiche al progetto dell’acquedotto della Valle Orco?
Il Consorzio Irriguo è venuto a conoscenza del progetto per un caso fortuito e si è immediatamente mobilitato per acquisire le informazioni che si riferiscono allo stesso. Contestualmente abbiamo inviato una richiesta di ammissione alla Conferenza dei Servizi poiché soggetto portatore d’interesse come previsto dalla Legge. Siamo, infatti, stati invitati a partecipare alla successiva seduta di CdS del 21 febbraio. Seppur nella ristrettezza di tempi, abbiamo cercato di esaminare il progetto il più approfonditamente possibile ed abbiamo notato alcune incongruenze, segnalate nell’ambito delle osservazioni formulate ed inviate entro il termine ultimo disposto dal Ministero dell’Ambiente.
Avanti a tutto, nelle relazioni, sono stati riportati dati erronei in riduzione sulle portate dei prelievi assentiti in capo a codesto Consorzio Irriguo. Inoltre, non è stata realizzata una valutazione dello scenario post-operam a proposito dell’incidenza che tale prelievo a monte avrebbe sul Deflusso Minimo Vitale scorrente entro l’alveo del Torrente Orco e pertanto quale impatto tale prelievo avrà sulle utenze già assentite e pre-esistenti. Occorre considerare che le prese gestite dal Consorzio Irriguo delle Rogge Campagna e San Marco sono le ultime, in sponda sinistra, lungo l’asta dell’Orco, prima che questo confluisca nel Fiume Po. Ciò significa che – potenzialmente – i territori asserviti dai due canali (Comuni di Montanaro, Chivasso e una piccola parte di Verolengo) potrebbero essere quelli maggiormente danneggiati.
Abbiamo anche segnalato che i nostri canali, oltre ad assolvere alla funzione irrigua, sono autorizzati per derivare (tutto l’anno) acqua ad uso civile, dal momento che parte dei nuclei frazionali attraversati dai corsi d’acqua risultano tuttora sprovvisti di collettori fognari collegati alla rete e confluente ai depuratori. Pertanto, in molte zone, esistono ancora molti scarichi in acque superficiali che – si presume – abbiano adeguati impianti privati di depurazione (fosse Ihmoff, degrassatori, etc). E’ evidente che la riduzione di portata nei canali sarebbe un danno doppio, dal momento che la percezione di coesistenza dei residenti con canali asciutti e maleodoranti, non sarebbe certo d’aiuto.
Dalla lettura del progetto, inoltre, apparentemente viene data molta importanza al profilo economico di sfruttamento della risorsa idrica, al momento che nella relazione di presentazione al progetto, laddove vengono annoverate le concessioni già autorizzate, vengono elencate tutte quelle che hanno finalità “energetiche” (sfruttamento ad uso produzione idroelettrica), singolarmente, o ad uso plurimo (irriguo ed idroelettrico). Ciò, però, a nostro avviso, è in netto contrasto con le priorità che elenca l’art. 167 del D.Lgs. 15/2006, che tende a garantire, dopo il consumo umano (cd. Idropotabile), “la priorità dell’uso agricolo ivi compresa l’attività di acquacoltura di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 102”.. Il fatto, quindi, che siano state escluse dall’elencazione tutte le prese assentite che abbiano come finalità il solo uso agricolo, fa pensare come sia stata mal interpretata la norma.
Abbiamo inoltre osservato come le finalità dichiarate dal progetto contrastino con quanto viene sostenuto nel progetto medesimo. Il proponente, infatti, dichiara di realizzare tale opera quale fonte di complementare alle fonti di approvvigionamento delle singole reti esistenti dei comuni asserviti dalla conduttura, riconoscendo l’esistenza di elevate perdite nelle reti in esercizio. Nel contempo, però, dichiara anche (nella Relazione illustrative delle Condotte) che “Tutti questi condizionamenti nell’uso delle risorse idriche sotterranee per usi idro-potabili, hanno indotto a ricercare altre risorse idriche alternative, che con minor oneri di esercizio, possono garantire una disponibilità adeguata anche in previsione delle future esigenze idriche dell’Alto Canavese.”
Riteniamo che tale asserzione sia fortemente in contrasto con l’opzione secondo cui l’Acquedotto della Valle Orco sia una fonte complementare, dal momento che è indubbio come l’acqua sollevata dalla falda, specie se molto profonda, abbia costi di prelievo di molto maggiori rispetto alla medesima risorsa reperita e consegnata alle utenze per mera gravità. Verrebbe quindi più spontaneo ritenere come, ad intervento eseguito, lo scenario sarà diametralmente opposto, ossia che saranno i singoli pozzi sparsi sul territorio dei 50 Comuni ad essere complementari alla fornitura proveniente dal Torrente Orco.
In ultimo, il Consorzio ha fatto constare agli atti come una buona parte dei Comuni asserviti ricadano nel Bacino Idrografico del Torrente Dora Baltea, un torrente che ha molti meno problemi di riduzione di portata. Basti pensare che nella stagione estiva 2017, quando c’è stato una forte crisi idrica lungo l’asta del Po, ciò che ha parzialmente salvato l’Emilia Romagna e la bassa Lombarda, sono stati il Lago Maggiore e la Dora Baltea, mentre le aste dei Torrenti Pellice, Chisone, Sangone ed Orco (già osservati speciali da un apposito Osservatorio per le Crisi Idriche costituito presso la Città Metropolitana) non han potuto nulla, nonostante le riduzioni volontarie ai prelievi che i singoli consorzi hanno operato in accordo con l’Autorità di Bacino del Fiume Po. A parere del Consorzio, quindi, è alquanto controproducente prelevare risorsa da un Bacino Idrografico già soggetto a carenze per addurla nelle aree più prospicienti ad altro Bacino Idrografico molto meno problematico.
Quali danni potrebbe subire l’agricoltura di Chivasso e Montanaro a seguito della costruzione dell’acquedotto?
I danni principali che si potrebbero riscontrare, nell’immediato, sarebbero la riduzione dei prelievi assentiti, con una crisi nell’utilizzo. Occorre infatti valutare come, ad oggi, la rete idrografica sia concepita da molti anni (per l’esattezza 623 anni per la Roggia San Marco e 620 anni per la Roggia Campagna) sulla scorta di portate consolidate, già ridotte con l’ultima concessione. Una ulteriore riduzione porterebbe, inevitabilmente ad uno spreco di risorsa ed alla contestuale impossibilità all’utilizzo. Per chiarire questo concetto, occorre fare un esempio. Immaginate un canale largo 1 metro e profondo 0,60 metri (sezione quindi di 0,60 metri quadri) se ha una portata di 300 litri al secondo, significa che per creare l’invaso necessario a far traboccare l’acqua necessaria ad irrigare il terreno posto accanto, occorrono 2 minuti secondi. Se la portata venisse idealmente ridotta a 100 litri al secondo, significa che il tempo necessario triplicherebbe. Ora, il problema è ben più complesso poiché significherebbe rideterminare tutte le cadute necessarie per lo spostamento dell’utilizzo da un terreno a quello immediatamente successivo, considerando anche che nello spostamento, il tempo necessario a creare l’invaso viene influenzato anche dalla necessità di bagnatura delle sponde e del fondo del canale per renderlo impermeabile (per il principio di saturazione della porosità naturale del materiale di contatto), oltre che dal rallentamento della velocità dovuto alla maggiore scabrezza del canale medesimo. Occorre infatti ricordarsi come i canali siano quasi completamente in terra, materiale che – a differenza dei tratti canalizzati con elementi prefabbricati in cemento – ha una scabrezza (cd. Coefficiente di Strickler) molto maggiore.
Una tale ipotesi, comporterebbe l’obbligo a rivedere tutti gli orari di turnazione esistenti, perfettamente collaudati e funzionanti, a danno delle colture agricole e degli agricoltori. Si aggiunga inoltre che in molti tratti del territorio, inoltre, i canali sono in comune con altre realtà irrigue (Consorzio Irriguo di Chivasso, Consorzio dei Canali del Canavese) che hanno pure loro turnazioni orarie ben definite, funzionanti e collaudate, che sono state studiate in modo tale da incastrarsi senza che le risorse idrauliche di provenienza diversa incoccino tra loro, per evitare straripamenti dei canali a danno dei cittadini, delle strade, delle abitazioni e quant’altro. Una revisione globale di tale sistema impiegherebbe molto tempo prima di essere messo a punto in modo ineccepibile. Purtroppo, l’agricoltura ed il mondo agricolo non è gestibile con algoritmi matematici perfetti. Si può pensare di creare modelli matematici di simulazione, ma i fattori esterni di condizionamento sono molteplici, interlacciati tra loro, ma troppo spesso non valutabili. Basti pensare alle condizioni metereologiche, agli acquazzoni estivi, alle calure prolungate.
I danni, poi, non sarebbero limitati e rilevabili al momento ma potrebbero rilevarsi dopo anni. Un esempio eclatante è stato l’esperimento fatto nella zona risicola a cavallo di Piemonte e Lombardia (Vercelli, Novara, Pavia, Mortara, Alessandria) di coltivazione di riso in asciutta.
A parte aver messo in crisi il funzionamento del sistema di irrigazione dei Consorzi di Est ed Ovest Sesia, dopo un paio di anni si è scoperto come le falde freatiche si fossero abbassate notevolmente, imputando quindi una crisi evidente anche al sistema di approvvigionamento idropotabile delle zone del Pavese e della Lomellina.
Contrariamente a quanto si crede, ciò dimostra inconfutabilmente come l’agricoltura e l’utilizzo che essa fa della risorsa idrica, aiuta a mantenere in equilibrio un ecosistema vasto. La leggenda comune è che l’acqua impiegata per irrigare i terreni agricoli sia una risorsa persa perché sottratta agli alvei dei fiumi, dal momento che – visivamente – essa non è restituita immediatamente al fiume stesso, diversamente da ciò che avviene nel caso di una centrale idroelettrica. La realtà è che – invece – la risorsa utilizzata dagli agricoltori viene restituita, spesso a molti chilometri di distanza (nel caso delle Rogge Campagna e San Marco, il prelievo avviene dal Torrente orco nei comuni di Foglizzo e Montanaro e la restituzione superficiale avviene nel Fiume Po tra Chivasso e Verolengo) superficialmente, a molto più spesso nel sottosuolo, ricaricando le falde. Questo ultimo dato, peraltro, è facilmente verificabile analizzando i dati piezometrici rilevati dagli Enti preposti (ARPA, Regione, Città Metropolitana) nel corso dell’anno. Durante il periodo di irrigazione, la falda si innalza.
La Coldiretti ha dichiarato cha la siccità avanza e che l’acquedotto è un rimedio. Voi suggerite altri rimedi? Altre misure?
Indubbiamente la siccità avanza ed altrettanto indubbiamente l’acquedotto è un rimedio. Ma – altrettanto indubbiamente – l’acquedotto non è un rimedio per l’agricoltura. L’impianto in progetto prevede che – poco a valle del punto di inizio della condotta vi sia un impianto di potabilizzazione esteso su un’area di 23’000 mq., dopodiché l’acqua viene diramata attraverso tubazioni sotterranee a punti di consegna sul territorio. Ed essa è dichiaratamente ad uso idropotabile. Ciò significa anche che tale risorsa non è destinata né utilizzabile per l’irrigazione dei campi. Occorre ricordare come – nei momenti di conclamata crisi idrica –i Sindaci dei Comuni emettono apposite ordinanze atte a razionalizzare l’uso dell’acqua idropotabile, vietandone l’utilizzo per usi non domestici, quali irrigazione di orti e giardini, lavaggio di automezzi, riempimento piscine,etc
Gli unici suggerimenti che ci sentiamo di dare sono la vera razionalizzazione delle reti acquedottistiche esistenti, la loro manutenzione, la sostituzione dei tubi che perdono, perché se è vero ciò che ha sostenuto un agricoltore nelle sue osservazioni presentate in Conferenza di Servizi e pubblicate nell’ambito del procedimento di verifica di assoggettabilità alla Valutazione di Impatto Ambientale, ossia che le reti hanno una perdita media del 35% della portata, probabilmente gli 810 litri di prelievo richiesti da SMAT dal Torrente Orco nel procedimento di Valutazione Ambientale, potrebbero essere comodamente recuperati, e forse con costi di intervento decisamente minori dei 206 mln di euro dichiarati quale costo presunto del progetto.
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